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Filipponi: "La Serie C è il campionato che ti forma. La Lega A dovrebbe aiutarla"TUTTO mercato WEB
Oggi alle 19:04Serie C
di Claudia Marrone

Filipponi: "La Serie C è il campionato che ti forma. La Lega A dovrebbe aiutarla"

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Nel corso della diretta pomeridiana di A Tutta C, il format di TMW Radio interamente dedicato al mondo della Serie C, è intervenuto l'ex Direttore Sportivo del Campobasso Sergio Filipponi, che in apertura ha detto la sua su quello che è il torneo di terza serie: "Mi tengo aggiornato soprattutto su quello che è il Girone B della C, però mi piace capire anche le dinamiche degli altri due gironi. La Serie C è un campionato molto affascinante, con allenatori che propongono un calcio innovativo, giovani che escono dalle Primavere o qualcuno che arriva dalla Serie D e riesce a imporsi. Possono diventare sorprese e portare valore tecnico al calcio italiano. È un campionato che seguo con grande interesse: mi piace il calore del Girone C, la tecnica e la tattica de'A e quel mix di agonismo e qualità del B. Diciamo così: la C è davvero completa". Rimane però un campionato ancora troppo sottovalutato. Andrebbe invece riconsiderato, perché è da lì che il calcio italiano potrebbe ripartire visto l'evidente momento storico di difficoltà. "Penso proprio di sì. Però dobbiamo finanziarla la C, dobbiamo aiutare presidenti e società a sostenerla. Diciamo sempre le stesse cose, ma se dall’alto non vengono prese iniziative virtuose, diventa tutto più difficile. Noi in Italia viviamo di calcio: alla fine si trova sempre il presidente che ama questo sport. Però la Serie C deve essere sostenuta con più forza. È un campionato che ti forma, soprattutto per i ragazzi che escono dalla Primavera, perché è li che capisci cosa significa entrare nel mondo del lavoro: trovi calciatori che hanno famiglia, allenatori e direttori che vivono di calcio, e devi cambiare mentalità velocemente. La differenza è tutta lì: quando acquisisci la mentalità giusta, tutto diventa più semplice". Andiamo invece nella direzione opposta, si vuole alzare l’età della Primavera per far giocare i ragazzi: sarebbe un grande passo indietro. "Io penso che nemmeno chi l’ha proposta, questa cosa, la comprenda davvero. Andiamo indietro di cent’anni. Io toglierei anche gli under in Serie D e in Eccellenza: statisticamente non hanno portato vantaggi. Non capisco l’innalzamento dell’età, quando l’esperienza fa la differenza. Un ragazzo con grandi aspettative viene catapultato in un calcio “sporco”, soprattutto nei gironi più tosti, e questo lo forma: prima avviene il passaggio, prima c’è la crescita. Lo stesso vale per gli under in D: è una scelta che non paga. Finito l’under, tanti ragazzi si ritrovano senza prospettive. Io spero che qualcuno capisca che qui si parla del futuro del calcio italiano. Basta vedere la Nazionale". Ed è proprio lì il discorso: rischiamo di non andare al Mondiale per la terza volta. È vero che forse l’avversario non è dei più proibitivi, ma c’è un playoff e niente è scontato. "Esatto. Le partite vanno giocate: c’è la fortuna, l’arbitro, la sfortuna, gli infortuni. Tutte le partite sono difficili. Non dobbiamo più pensare 'siamo italiani', perché se non ti evolvi e non ti innovi diventa tutto più complicato. Con la globalizzazione è tutto più appiattito: le informazioni ce l’hanno tutti. Noi lo diciamo perché vogliamo che il movimento cresca: dobbiamo esserne orgogliosi. Abbiamo vinto tanti Mondiali, non uno solo. Però oggi conta più il business del sentimento, e la stiamo pagando: sentivo che quasi il 70% dei calciatori di Serie A è straniero. Non è una scusa, perché tanti sono forti, ma vedo un abbandono dei ragazzi italiani nei settori giovanili. Non hanno più amore per questo sport. Dobbiamo farli innamorare di nuovo: come? Partendo dal basso. Con nuovi stimoli e con allenatori e società competenti, che facciano amare il calcio. Questa è la verità". Forse avere allenatori giovani, quindi con un minor gap generazionale, potrebbe essere più produttivo? "La domanda è pertinente, ma l’essere giovane non dipende dall’età. La parola chiave è competenza. Dobbiamo mettere gente competente e investire. Anche un allenatore di 65-70 anni può essere valido. Il segreto è la competenza. Altri Paesi ci hanno copiato, oppure hanno investito: nazioni che un tempo non contavano ora puntano su qualità e competenza. È questo il segreto, non l’età". In chiusura, cosa pensa della riforma Zola, sempre restando in tema giovani e strutture? "La Serie A dovrebbe aiutare le Leghe più basse: sarebbe un modo per sostenere i club con meno risorse. Senza soldi come fai a costruire campi sintetici, foresterie, assumere figure qualificate? Nel calcio oggi ci sono figure che 30 anni fa non esistevano: match analyst, psicologi… e sono costi che una società deve sostenere. Senza budget adeguati si finisce nel sistema delle raccomandazioni o del risparmio. E così non si ottengono risultati importanti".