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Addio a Giovanni Galeone, profeta di un popolo. Il Centro in apertura: "Ci mancherai"TUTTO mercato WEB
© foto di Petrussi/FDL71
Oggi alle 07:58Rassegna stampa
di Antonio Parrotto

Addio a Giovanni Galeone, profeta di un popolo. Il Centro in apertura: "Ci mancherai"

"Ci mancherai" è il titolo d'apertura scelto da Il Centro per omaggiare la figura di Giovanni Galeone. Si è spento ieri all'età di 84 anni l'allenatore simbolo del Pescara. "Addio a Giovanni Galeone, è stato il profeta di una squadra, di una terra, di un popolo". E arriva la proposta: "Intitoliamogli lo stadio". È scomparso all'età di 84 anni Giovanni Galeone, figura iconica del calcio italiano, recentemente ricoverato all’ospedale di Udine a causa di una lunga malattia. Le sue condizioni di salute, peggiorate nel corso delle ultime settimane, lo avevano portato sotto cure intensive e dialisi, complicando ulteriormente il suo quadro clinico. Allenatore di grande carisma e innovatore nel suo approccio al gioco, Galeone ha lasciato un’impronta indelebile nel panorama calcistico italiano. Nel corso della sua carriera ha conquistato quattro promozioni in Serie A: due con il Pescara (1986-87 e 1991-92), una con l’Udinese e una con il Perugia. Ha inoltre guidato squadre come Napoli, Como e Spal, sempre distinguendosi per il suo stile di calcio offensivo e coraggioso. Il ricordo di Matteo Grandi: Con Giovanni Galeone se ne va una pagina di poesia del nostro calcio. Filosofo istrionico e artista geniale. Nella sua idea di calcio c’era molto più di un disegno tattico. C’era quella magia per cui non esiste una parola nel vocabolario, un incantesimo capace di far innamorare il pubblico, di accenderne la passione più romantica e viscerale. A Pescara, a Udine, a Perugia. Dovunque sia stato Galeone non ha lasciato soltanto un’impronta, ha riacceso sentimenti che, dopo di lui, non hanno mai più ritrovato quella fiamma. Lo chiamavano il profeta, perché in un mondo omologato come quello del pallone il suo disallineamento aveva un che di divinatorio. Il suo calcio offensivo era gioia per gli occhi, le sue parole un antidoto alla banalità. E forse mai come a Perugia la sua filosofia ha trovato un riscontro così totale sul campo. Pagano, Negri, Rapaijc un tridente da fiaba, l’incarnazione di genio, sregolatezza, talento e meraviglia. Qualcosa che faceva palpitare il Curi mandando in visibilio tifosi, addetti ai lavori e giornalisti che arrivano da tutta Italia per ammirare lo spettacolo di quel 433. Emozioni pure. Uno stato di pelle d’oca permanente. La serie A ritrovata dopo 15 anni. Nulla fu per caso nell’avventura in biancorosso, il profeta aveva indicato la strada e la ciurma lo seguì totalmente votata alla causa. Forse anche per questo il suo allontanamento inspiegabile per mano del vulcanico Gaucci, che si dice soffrisse di una gelosia inconfessabile per quanto la piazza amasse l’allenatore, lo rese ancora più idolatrato; quasi un eroe di una resistenza ideologica sacrificato a logiche di potere a cui non si è mai piegato. Pagando la sua allergia ai compromessi con una carriera ben al di sotto dei suoi meriti. Non era amato dai dirigenti ma era amato dalla gente. E la democrazia del tifo a volte vale più di mille trofei. Questo era Giovanni Galeone, napoletano di nascita, triestino d’adozione, lettore incallito, amante di Evola e Guareschi, con la sua sigaretta appoggiata spavalda sulle labbra e con quella cocciuta predilezione (d’influenza carsica) per l’estro dei calciatori slavi. Nel mio piccolo ho avuto la fortuna di avvicinarlo quando, ventenne di belle speranze, iniziai a collaborare con La Nazione al seguito di quello straordinario Perugia. A me toccava intervistare i giocatori perché il mister era affare per i redattori più anziani, ed era giusto così. Un ventenne non avrebbe retto la sua dialettica e il suo sarcasmo pungente, ma ogni volta che mi passava a fianco ne respiravo l’aura. E ancora oggi se chiudo gli occhi sento, come allora, tutto lo stadio gridare “Galeooo, Galeooo”.