
Atalanta, troppi déjà vu sul mercato e pochi gol in campo: la lezione del caso Krstovic
Radiomercato lo aveva lanciato a metà luglio: Nikola Krstovic poteva diventare una delle alternative offensive per l’Atalanta. La risposta? Un coro di smentite, decise e convinte, proprio come era accaduto mesi prima per Posch e Maldini. Il copione, però, si è ripetuto: dopo le smentite, le firme. E, purtroppo per la Dea, anche lo stesso epilogo. Tutti e tre — Posch, Maldini e ora Krstovic — non hanno ancora lasciato il segno.
UN MERCATO DI OCCASIONI, NON DI IDEE – L’impressione è che l’Atalanta viva di mercato reattivo più che proattivo: non pianifica, ma si adatta. Si punta su chi è disponibile, su chi costa il giusto, non sempre su chi serve davvero. Eppure, la società bergamasca ha dimostrato negli anni di saper investire e inventare, scovando talenti dove altri non guardavano. Oggi, invece, si fatica a vedere la stessa lungimiranza.
KRSTOVIC NON È RETEGUI – Il centravanti ex Lecce non può essere considerato l’erede di Retegui - rimarca TMW -. Sono due giocatori diversi: più di manovra il montenegrino, più finalizzatore l’attuale attaccante dell’Al-Qadisiya. Ma il problema non è solo tecnico, è anche numerico: sei pareggi in dieci partite, appena tre vittorie, una produzione offensiva modesta e troppi 0-0, evento rarissimo negli anni dell’era Gasperini.
SULEMANA E LOOKMAN, L’ASSENZA DI FANTASIA – A preoccupare non è solo la mancanza di un bomber, ma anche la scarsa incisività dei giocatori di fantasia. Kamaldeen Sulemana non è ancora riuscito a incidere come Ademola Lookman, l’uomo che due stagioni fa aveva spaccato le partite. Gli zero a zero abbondano, e a Bergamo non se ne vedevano così tanti da nove anni. La Dea non è più la squadra che travolgeva gli avversari, ma un gruppo ordinato che crea senza colpire.
JURIC E IL PESO DEL CONFRONTO – L’altra metà del problema si chiama panchina. Ivan Juric, arrivato per inaugurare un nuovo ciclo, vive un confronto costante — e ingombrante — con il suo predecessore. L’Atalanta di oggi ha spesso superiorità tecnica, ma non la trasforma in dominio. Le prestazioni restano buone, ma la concretezza manca. Se contro la Lazio il palo può essere una sfortuna, contro lo Slavia Praga diventa un alibi che non regge.
TRA PRESENTE E IDENTITÀ – La Dea ha perso la sua ferocia offensiva, quel misto di coraggio e verticalità che la rendeva unica in Italia e rispettata in Europa. Il nuovo corso fatica a trovare equilibrio tra solidità e inventiva. E se il mercato estivo ha portato più incognite che certezze, il campo non ha ancora risposto con convinzione.
L’Atalanta resta un club modello, ma il rischio è di rimanere nel limbo dell’equilibrio: solida ma sterile, ordinata ma prevedibile. Serve una scossa, da chi la squadra la costruisce e da chi la guida. Perché la Bergamo che si è abituata a sognare non si accontenterà mai di un pareggio in più.






