Atalanta, un’altra notte senza anima: ritmo basso, idee spente e il solito pareggio che non cambia nulla
Un altro primo tempo regalato, un’altra partita giocata al piccolo trotto, un altro pareggio che pesa come una sconfitta. L’Atalanta non vince più, e stavolta nemmeno la magra consolazione dell’imbattibilità riesce a mascherare la delusione. Allo Zini di Cremona finisce 1-1, ma la sensazione è di una Dea che si è smarrita: lenta, prevedibile, quasi irritante nel modo in cui costruisce e spreca, incapace di dare continuità alle proprie azioni e di far valere il proprio valore tecnico. È il quarto pareggio consecutivo tra campionato e coppe, un mese di ottobre che si chiude senza successi. E non è un caso: la squadra di Ivan Juric sembra aver perso quella cattiveria agonistica che per anni l’ha resa diversa da tutte le altre.
LENTEZZA E CONFUSIONE – La fotografia più nitida del momento nerazzurro è arrivata nel primo tempo - scrive La Gazzetta dello Sport -: 49 passaggi consecutivi senza un tiro in porta. Un possesso sterile, ipnotico, lontano anni luce dall’intensità e dalla verticalità di un tempo. Juric sceglie di partire con il tridente “puro” (De Ketelaere–Krstović–Lookman) e con De Roon adattato a centrale difensivo, ma l’esperimento non paga. La Cremonese, ordinata e aggressiva, concede pochi spazi e costringe la Dea a un giro palla anestetizzato.
Servivano ritmo, coraggio e gioco a terra; arrivano, invece, palle alte, tempi morti e troppi tocchi inutili. Una squadra bloccata, dove la tecnica non basta più a compensare l’assenza di idee.
ATTACCO SPENTO, ZERO CERTEZZE – Se il problema è segnare, la fotografia dei tre davanti è impietosa: De Ketelaere porta palla per cinquanta metri ma si perde al momento decisivo, Krstović è spaesato e indeciso, Lookman resta intrappolato tra esitazioni e dribbling inconcludenti.
Ci sono fiammate, non azioni. L’Atalanta arriva in zona tiro con fatica e, quando ci riesce, è imprecisa. Una squadra che crea ma non punge, che colleziona corner e occasioni potenziali, ma non mette paura a nessuno. E se anche Scamacca e Sulemana, subentrati nella ripresa, danno solo qualche scossa isolata, vuol dire che il problema è profondo, strutturale.
L’INVENZIONE DI BRESCIANINI – A togliere la Dea dal baratro ci ha pensato Marco Brescianini, l’ultimo uomo da cui ci si poteva aspettare il colpo risolutivo. Juric lo butta dentro a dieci minuti dalla fine, ridisegna la squadra in un 4-2-3-1 improvvisato e viene premiato: dopo sei minuti dal gol dell’immortale Vardy, il centrocampista milanese trova l’angolo con un sinistro velenoso e salva l’Atalanta da una sconfitta che sarebbe stata pesantissima.
Un lampo azzurro in una notte nerissima. Ma il fatto che a firmare il pareggio sia un centrocampista di rotazione dice molto: la Dea non segna con gli attaccanti da settimane e la sua pericolosità offensiva resta impalpabile.
I PARADOSSI DI JURIC – La stagione era partita con l’alibi delle assenze, ma oggi Juric ha tutta la rosa quasi al completo. Eppure, paradossalmente, l’Atalanta gioca peggio. Il tecnico alterna uomini e sistemi, ma il rendimento cala: la squadra è meno aggressiva, i duelli si perdono, i singoli non incidono.
Il 3-4-3 iniziale non funziona, il 4-2-3-1 finale è solo un rattoppo. Sulemana, entrato troppo tardi, e Samardžić provano a muovere qualcosa, ma la sensazione è che manchi un’anima collettiva. Juric deve ritrovare il filo di un’identità che sembra essersi allentato: troppa prudenza, poca verticalità, niente ferocia.
LA CREMONESE MERITA APPLAUSI – Davide Nicola ha preparato una partita intelligente: densità centrale, linee corte, spirito di sacrificio. Con un centrocampo d’emergenza – Zerbin mezzala, Vandeputte inventato regista – e con un 38enne Vardy che si conferma eterno, i grigiorossi hanno rischiato il colpo grosso.
Il loro pareggio è prezioso e meritato: la Cremonese non vince, ma non perde, e si conferma squadra solida, concreta, più viva di quanto dicano i nomi.
LA DEA SENZA VOCE – L’Atalanta, invece, esce dallo Zini con la solita amarezza. Gioco spento, attacco sterile, punti persi contro avversari alla portata. E con l’impressione che la superiorità tecnica, oggi, sia solo un titolo sulla carta.
Ottobre si chiude senza vittorie e con una squadra che ha smarrito ritmo, coraggio e quella voglia di osare che l’aveva resa grande. Juric parla di crescita, ma la classifica dice altro. La Dea, oggi, è muta: non urla, non incanta, non fa più paura. E senza la sua voce, il calcio d’Europa sembra sempre più lontano.
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