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Atalanta, fra ombre e indizi: le cinque crepe che raccontano il crollo del MaradonaTUTTO mercato WEB
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Oggi alle 01:00Primo Piano
di Redazione TuttoAtalanta.com
per Tuttoatalanta.com

Atalanta, fra ombre e indizi: le cinque crepe che raccontano il crollo del Maradona

Dal lancio iniziale di Carnesecchi al blackout di Hien, passando per la maglia arancione “maledetta”: ecco dove la Dea si è smarrita e da dove Palladino dovrà ripartire.

Paradossalmente, l’unico lampo di audacia dei primi cinquanta minuti è arrivato sul calcio d’inizio. Pasalic arretra rasoterra verso Carnesecchi e il portiere, con un gesto che vorrebbe essere manifesto di coraggio, cerca lungo i quattro compagni proiettati in avanti. Ma la scena dura un attimo: Rrahmani respinge di testa e l’Abisso di difficoltà sulle palle alte comincia subito a inghiottire l’Atalanta.
Un simbolo perfetto del problema più grave: un approccio timido, impaurito, quasi rassegnato.

MAGLIA ARANCIONE, TRA SCARAMANZIA E REALTÀ – È presto per dire se questa terza divisa sia un talismano rotto o un feticcio incompreso. I numeri (2 punti in 4 gare) raccontano ciò che vedono gli occhi: un’Atalanta svuotata, lontana da sé stessa. Ma chi cerca un appiglio può aggrapparsi al secondo tempo, unico frammento da cui Palladino può partire. Almeno una certezza c’è - analizza Pietro Serina per il Corriere di Bergamo - : nelle prossime trasferte si tornerà al bianco. E, visto l’accoppiamento cromatico col nuovo pallone arancione, forse non è una cattiva notizia.

HIEN IN CERCA DI ISTRUZIONI – C’è un’immagine che fotografa senza filtri la serata: Djimsiti che si avvicina a Hien dopo l’1-0 per spiegargli come si marca Hojlund. Un colloquio necessario, ma tardivo. Il baby Ahanor può pagare l’inesperienza, ma lo svedese ha vissuto una notte di sbandamenti inquietanti: tempi sbagliati, duelli persi, linee di uscita sempre in ritardo. E se quelle istruzioni sono arrivate solo dopo il gol, il problema non è dell’ultimo secondo, ma dell’intero sistema difensivo.

NAPOLI DI CONTE, UNA LEZIONE DI SQUADRA – Ridurre il problema al “non avere un centravanti” è una scorciatoia che distoglie lo sguardo dal cuore del disastro. L’Atalanta ha perso perché il Napoli ha fatto ciò che la Dea faceva negli anni migliori: aggressione feroce, movimenti sincronizzati, difesa collettiva. Dopo l’1-0, dieci maglie azzurre erano tutte sotto la linea della palla. Un blocco compatto, quasi identico all’Arsenal di Arteta che Palladino aveva elogiato in conferenza. È lì che la Dea deve ripartire: tornare a essere una squadra, non un insieme di reparti scollegati.

IL PARADOSSO TATTICO – La vera crepa è stata il centro nevralgico del campo. Il Napoli ha cambiato vestito: difesa a tre, quattro in linea a centrocampo, nessun vertice basso da mettere nel mirino. Risultato: Pasalic, trequartista senza riferimento, è rimasto in un limbo tattico che l’ha reso inutile, troppo lontano dai difensori e mai davvero parte dell’azione. In uno scenario del genere, era quasi obbligatorio passare al tridente puro, andando uomo contro uomo: Palladino lo ha capito, ma solo nell’intervallo. Troppo tardi, contro un Napoli che aveva già preso il controllo.

LA REGOLA DEL “TRE”, UNA DANNAZIONE – La beffa numerologica è la fotografia ironica di una serata nerissima:
due tris subiti dopo due tris segnati; tre Percassi in tribuna per inaugurare la nuova era; tre gol incassati da tre squadre che prima della sosta non segnavano da tre partite. Quando il calcio decide di essere crudele, sa esserlo con una fantasia particolare.

L’ULTIMA RIGA – Dentro una notte piena di errori, l’Atalanta ha scoperto almeno due cose: la squadra è ancora fragile, ma non del tutto spenta; la strada di Palladino sarà lunga, piena di correzioni, ma non priva di appigli. Ora serve costruire, pezzo dopo pezzo, cominciando da ciò che si è intravisto solo dopo l’intervallo: ritmo, coraggio, concentrazione. Il resto – identità, brillantezza, fiducia – verrà solo con il tempo.

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