Il "finimondo" biondo e la chiave della libertà: De Ketelaere ora deve smettere di essere Principe e diventare Re
Se il calcio fosse una hit da jukebox estivo, la colonna sonora di questi giorni a Bergamo avrebbe indubbiamente quel ritornello martellante sul "capello biondo" che fa il finimondo. Charles De Ketelaere, però, non è una canzone da una stagione sola: è una composizione complessa, a volte eterea, a volte devastante. La notte di Francoforte ci ha restituito la versione deluxe del talento di Bruges, quella capace di far saltare il banco in qualsiasi mese dell'anno, purché la luna sia quella giusta. In una Dea abituata al palato fino, il suo ritorno ai massimi livelli non è solo una buona notizia: è la conditio sine qua non per nutrire le ambizioni di una piazza che, quando lo vede accendersi, sogna a occhi aperti.
ANARCHIA AL POTERE – La vera novità della gestione Palladino non risiede tanto nella posizione in campo, quanto nella licenza poetica concessa al numero 17. Se a Napoli era stato l'ultimo ad arrendersi, al Deutsche Bank Park è stato semplicemente ingiocabile. "Attaccante totale" è forse l'etichetta che meglio gli si addice oggi: non è un 9, non è un 10 classico, è un fluido che scorre tra le linee nemiche. Con il nuovo tecnico, CDK sembra aver trovato una libertà d'azione quasi anarchica sulla trequarti: si accentra, rifinisce, calcia, ma soprattutto fa segnare. È un direttore d'orchestra che non ha bisogno della bacchetta, perché gli basta il sinistro per dettare i tempi e regalare palloni col contagiri.
SORPASSO NELLA STORIA – C'è poi la fredda legge dei numeri a certificare lo status - ribadisce TMW nel suo tagllio di approfondimento -. Il gol mancava da quel lontano pomeriggio di settembre contro il Lecce, un'eternità per uno come lui. Ma quando Charles decide di sbloccarsi, lo fa pesando le occasioni. La rete in Germania è la settima nelle competizioni UEFA con la maglia nerazzurra, un sigillo che vale il sorpasso su due mostri sacri recenti come il Papu Gómez e Gianluca Scamacca. Entrare in questa cerchia ristretta significa aver lasciato un segno indelebile, ma paradossalmente aumenta il peso delle aspettative. Chi supera certe leggende non può più permettersi di essere un comprimario di lusso.
LA SFIDA DELLA COSTANZA – Qui casca l'asino, o meglio, qui si gioca la partita decisiva per la carriera del ragazzo. La retorica sul "fantasma del Milan" è ormai stucchevole e superata: quel capitolo è chiuso. Il vero avversario di De Ketelaere oggi si chiama continuità. Il talento è cristallino, la catena di destra con Bellanova ha un potenziale atomico, ma per essere un leader vero serve marcare visita ogni maledetta domenica, non solo nelle notti di gala. Essere un trascinatore non significa solo fare la giocata a effetto, ma caricarsi la squadra sulle spalle quando il pallone scotta e le gambe tremano.
L’EREDITÀ DA COMPLETARE – Il lavoro iniziato dal suo mentore Gian Piero Gasperini, che lo ha ricostruito dalle macerie milanesi, attende ora il tocco finale. Raffaele Palladino ha in mano un diamante che va sgrezzato definitivamente sotto il profilo caratteriale. Il tecnico lo ha messo ancora più al centro del villaggio, togliendogli compiti oscuri per esaltarne la fantasia. Ora la palla passa, metaforicamente e letteralmente, tra i piedi del belga. Se De Ketelaere capirà che la bellezza del gesto tecnico deve sposarsi con la cattiveria agonistica costante, l'Atalanta non avrà solo ritrovato un campione, ma avrà scoperto il suo nuovo condottiero.
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