
Juric, l’arte della rotazione: l’Atalanta che cambia volto senza perdere identità
C’è un paradosso virtuoso che accompagna la prima Atalanta di Ivan Juric: più cambia, più resta se stessa. Otto partite ufficiali, 22 giocatori utilizzati — praticamente l’intera rosa, fatta eccezione per i portieri di riserva e i lungodegenti Kolasinac e Bakker. Un dato che racconta molto più di quanto sembri: la rivoluzione silenziosa di Juric non passa solo dai moduli o dal pressing calibrato, ma dalla costruzione di una squadra totale, dove ogni interprete ha avuto il proprio spazio, responsabilità e minutaggio.
UNA DEA CORALE – A Zingonia si respira un’aria nuova, di partecipazione diffusa - scrive La Gazzetta dello Sport -. Non ci sono più titolari intoccabili né comprimari rassegnati al margine. Juric ha gestito l’emergenza — lunga, pesante, inevitabile — trasformandola in un’occasione: quella di rendere tutti protagonisti. E i risultati gli stanno dando ragione. L’Atalanta ha perso una sola volta, a Parigi contro il Psg, mostrando una solidità collettiva rara per una squadra che, nel frattempo, ha dovuto reinventarsi più volte.
Le assenze hanno costretto il tecnico a variare, a sperimentare. Ma il dato che sorprende è un altro: ogni innesto ha risposto presente, assimilando in tempi record i principi di gioco. Da Bernasconi, promosso dall’U23 e diventato in poche settimane una risorsa vera, a Samardzic, capace di imporsi come alternativa di lusso. La Dea non è più solo una formazione: è un organismo vivo, modulabile, che cambia pelle restando riconoscibile.
LA PROFONDITÀ COME ARMA – Se la scorsa stagione l’Atalanta viveva su un asse definito — 16, forse 17 giocatori davvero impiegabili — oggi Juric ha a disposizione due squadre. È il frutto di un lavoro quotidiano sull’integrazione e sulla consapevolezza, ma anche di una gestione oculata delle energie. Solo Carnesecchi è stato impiegato sempre, mentre Pasalic e Djimsiti hanno collezionato otto presenze su otto, pur con dosi di riposo mirato. In fondo alla lista, ma non certo nei pensieri dell’allenatore, c’è Brescianini, con appena 86 minuti ma già in grado di dimostrare duttilità e affidabilità.
Non è un caso: Juric sa che per affrontare 7 partite in 21 giorni dopo la sosta — cinque in Serie A e due in Champions — la chiave sarà la varietà. Distribuire i carichi, alternare ruoli e interpreti, evitare che la stanchezza mentale e fisica diventi un nemico. Ecco perché, in casa Atalanta, i minuti sono diventati una valuta da investire con intelligenza: il turnover non è più un rischio, ma una strategia di crescita collettiva.
UN NUOVO EQUILIBRIO – La Dea di Juric è meno emotiva e più razionale rispetto al passato, ma non per questo meno intensa. È una squadra che ha imparato a dosare la propria forza, a scegliere i momenti della partita e a resistere senza smarrire l’identità. Le rotazioni, in questo senso, non hanno indebolito la struttura: l’hanno fortificata. Tutti parlano la stessa lingua tattica, e la convinzione di chi entra a partita in corso è la stessa di chi parte dall’inizio.
Gli otto marcatori diversi fin qui sono la fotografia più nitida di questa evoluzione. Non c’è un singolo a monopolizzare il gioco o le responsabilità: c’è una rete di giocatori che si alternano nel lasciare il segno. Juric ha costruito una coralità moderna, dove l’individualità è al servizio del sistema.
OLTRE L’EMERGENZA – Con il recupero dei vari Kolasinac, Scalvini, Zalewski e Scamacca, la Dea si appresta ad affrontare il blocco più intenso della stagione con un’arma in più: la consapevolezza di poter contare su chiunque. E quando la profondità si sposa con la competitività interna, il risultato è una squadra che si allena a ritmi da partita, che cresce giorno dopo giorno, e che non teme l’usura di un calendario serrato.
LA FORZA DEL GRUPPO – Juric ha dimostrato che la vera forza di questa Atalanta non è (solo) il talento, ma la distribuzione della responsabilità. Ha saputo mescolare i ruoli senza perdere identità, ruotare senza disorientare, fidarsi senza indebolire. E oggi, guardando una classifica che parla di imbattibilità e solidità, la sensazione è che questa Dea abbia ancora margini enormi.
La varietà, a Bergamo, non è più un’opzione. È diventata una virtù.
