
Ilicic: "Quella Dea era da scudetto. Il Covid e la depressione mi hanno tolto tutto, ma Gasperini mi ha salvato"
Nell’intervista a La Gazzetta dello Sport, Josip Ilicic apre il suo cuore e racconta il periodo più intenso e doloroso della sua carriera: l’Atalanta dei record, la pandemia e il buio della depressione.
Cosa rappresenta per lei l’Atalanta di quegli anni?
«Due anni fa ho incontrato Paratici a Londra. Mi disse che avevamo l’attacco da scudetto. È vero: potevamo giocare a occhi chiusi. Nessuno ha fatto quello che abbiamo fatto noi. Due gol ad Anfield, cinque al Milan, altri cinque al Parma. Due finali di Coppa Italia: quella del 2019 l’abbiamo persa per colpa di un rigore ed espulsione mancati. Non ho mai visto Percassi così arrabbiato».
Cosa ricorda della serata di Valencia?
«Fu magica. In tanti mi chiedono dove saremmo arrivati se non fosse arrivato il Covid. Eravamo pronti per la finale di Champions. Io ero in uno stato di forma incredibile e non avevamo paura di nessuno. Il mondo si è fermato, e con lui anche la luce dentro di me».
Cosa è successo dopo?
«Mi hanno offerto soldi per raccontare la mia storia, ma certi dettagli li tengo per me. Posso solo dire che non sapevo se sarei tornato a giocare. Ho passato 42 giorni chiuso in casa a Bergamo, lontano dalla mia famiglia. I soldi e i contratti non contavano più. Non stavo bene».
Come ha vissuto le voci su sua moglie?
«Sono state terribili. Dicevano che mi avesse tradito. Falso. Si è presa insulti incredibili. Ma come si può pensare che l’avrei trovata con un altro? Non ho smentito perché avrebbero iniziato a chiedermi che cosa avessi, e io non volevo parlare. Ma chi mi conosceva sapeva la verità».
Perché, secondo lei, nacquero quelle falsità?
«Perché ero al top e nessuno sapeva cosa mi stesse succedendo. Qualcuno aveva bisogno di inventare. Tornai in Slovenia: lì sembrava che il Covid non esistesse, mentre a Bergamo vedevo le bare sui camion. Quelle immagini non le dimenticherò mai».
Cosa le ha insegnato Gasperini in quei momenti?
«Mi è stato vicino come nessuno. Quando fui ricoverato per un’infezione nel 2018, lui venne a trovarmi e mi disse: “Dobbiamo giocare”. Io non stavo in piedi. Mi rispose: “Non mi interessa, tu stai in campo”. Lo fece anche a Valencia: dopo il terzo gol chiesi il cambio, mi ignorò e segnai il quarto. Mi ha spinto oltre ogni limite».
Il racconto di Ilicic è una confessione autentica, senza vittimismo: un viaggio nel buio e nella rinascita di un uomo che ha conosciuto il dolore e ne ha fatto forza.







