
Gazzetta, Ilicic: "Gasperini mi ha cambiato la vita. A Bergamo ho trovato la mia vera dimensione"
Josip Ilicic, intervenuto in una lunga intervista rilasciata a La Gazzetta dello Sport, ha ripercorso le tappe fondamentali della sua carriera: dagli inizi in Slovenia e l’esplosione a Palermo, fino alla trasformazione sotto la guida di Gasperini.
Come nasce la sua seconda vita calcistica?
«Avevo pensato di smettere, ma quando il direttore e il presidente del Koper mi hanno chiesto di aiutarli, non ho saputo dire di no. Li conosco da 25 anni, e qui, dove tutto è cominciato, ho deciso di tornare. I miei colpi sono nati su queste strade».
Da Palermo è partita la sua carriera in Italia. Ricorda l’esordio?
«Fu tutto velocissimo. Dopo una partita di Coppa col Maribor mi dissero: “Ti abbiamo venduto, ma non possiamo dirti dove”. Firmai due giorni dopo e mi trovai davanti la bandiera del Palermo. Segnai al ritorno, ma non esultai: già sapevo che sarei andato via».
Sabatini disse che aveva una “tristezza biologica”. Si riconosce in quella definizione?
«Forse sì. Sembro svagato, qualcuno mi chiamava “la nonna”, ma in realtà dentro di me c’è sempre stata una grande rabbia agonistica. Più mi insultano, più divento forte».
Cosa le è rimasto dell’esperienza a Firenze?
«Un po’ di amarezza, lo ammetto. I fiorentini mi hanno criticato anche quando ero miglior marcatore e miglior assistman. Arrivammo quarti, ma non bastava. Anche la semifinale di Europa League non bastò. Non porto rancore, ma con loro ho chiuso».
Come nacque il suo passaggio all’Atalanta?
«Dovevo andare alla Sampdoria, tutto fatto. Poi mi chiamò Gasperini: “Vieni a giocare per me?”. Gli dissi che ormai avevo firmato, ma lui insistette. “Ti chiamerà Sartori, tranquillo”. Quando gli dissi quanto avrei guadagnato, mi rispose: “E quindi?”. Da lì è cominciato tutto».
Com’era lavorare con Gasperini?
«Durissimo. Dopo un allenamento non riesci a dormire, le gambe ti bruciano, ti viene da vomitare. Ma entra nella testa come nessuno. Ti cambia dentro. Abbiamo ribaltato tante partite grazie a quella preparazione: noi correvamo fino al 90’, gli altri finivano al 60’. A volte discutevamo, ma quando ci si ama davvero, si litiga».
La prima Atalanta di Ilicic nasceva lì: nella fatica, nel sudore e in un’idea di calcio che lo avrebbe trasformato per sempre.








