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Gigi Meroni, la "farfalla" che riuscì ad incantare gli italianiTUTTO mercato WEB
© foto di Daniele Buffa/Image Sport
Oggi alle 19:30Storie di Calcio
di TMWRadio Redazione

Gigi Meroni, la "farfalla" che riuscì ad incantare gli italiani

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Aveva tutto Gigi Meroni: classe, estro, piedi fatati, gol. Ma è andato via troppo presto per mostrare al mondo e all'Italia tutta la sua bellezza. Era il 15 ottobre 1967 quando a Torino se ne andò ad appena 24 anni una delle grandi promesse del calcio nostrano. E per un incidente assurdo, che però lo ha fatto entrare nel mito. Cresciuto calcisticamente nelle giovanili del Como, dopo aver esordito in prima squadra, in Serie B, venne ceduto al Genoa. Troppo forte quel ragazzino per non portarselo a casa. Ma Meroni era molto di più: un campione. Con i suoi dribbling e i gol, sapeva incantare tutti. Ma soprattutto portava vittorie. E a Genova lo sanno bene, perché con lui si tornò a sognare. Dopo anni difficili, si tornò all'ottavo posto in classifica e si vinse la Coppa delle Alpi, nell'anno in cui venne stabilito anche il record di imbattibilità dal portiere Mario Da Pozzo. Poi, nell'estate 1964, fu ceduto al Torino allenato da Nereo Rocco per 300 milioni di lire, all'epoca cifra record per un giocatore di soli 21 anni. E tutto questo nonostante una mobilitazione popolare degna di un grande. Con i granata, Meroni cominciò davvero a mostrarsi al mondo come uno dei più forti giocatori di quegli anni. Memorabile la rete a San Siro contro l'Inter, nel 1967, con un pallonetto dal limite dopo uno dei suoi proverbiali slalom. Un gol che interruppe l'imbattibilità casalinga della "Grande Inter" dell'allenatore Helenio Herrera, costringendo i nerazzurri alla prima sconfitta dopo 3 anni di risultati utili.  La "farfalla", come veniva chiamato per il suo gioco e i costumi anticonformisti, era un vero artista, gioia per gli occhi. Rischiò di passare alla Juve per 750 milioni di lire, ma l'insurrezione del popolo granata costrinse il presidente Orfeo Pianelli a rinunciarvi. Poi però la tragedia, che ha sconvolto non solo Torino ma tutta Italia. A parlarne a TMW Radio, durante Storie di Calcio, due penne come Franco OrdineDarwin Pastorin. "Immaginate un ragazzo che abbia i capelli lunghi, i calzettoni abbassati e che continui a giocare e a divertirsi dribblando i propri avversari, senza avere come fine il gol ma di cercare di divertire la platea. Meroni era questo - ha sottolineato Ordine -. In quegli anni andava di moda la finta di un altro numero 7 straordinario, quella di Garrincha, che lasciava sul posto tutti gli avversari. Subito dopo Meroni, sulla scena internazionale uscì la stella di Best. Questo tris di assi fa capire a che livello di tecnica e talento siamo arrivati con Meroni". E ha aggiunto: "Incarnava l'inizio di quel periodo che andava sotto il titolo di contestazione giovanile, perché vestiva stravagante, aveva i baffi, i capelli lunghi, non rispettava l'etichetta. E rispettava queste caratteristiche in campo e fuori. Era poco avvicinabile da parte dei cronisti, non perché avesse l'alterigia dei grandi campioni, ma perchè rifuggiva dallo schema dell'intervista classica. Era capace di offrire spunti anche extra-calcistici e spesso, per evitare di non essere compreso, evitava di parlare".  Mentre calcisticamente parlando lo ha definito così: "Era quello che oggi metteremmo al bando, un dribblomane. Incarnava la classica ala destra, che scattava e dribblava sette volte lo stesso avversario, per il solo gusto di farlo, grazie a una tecnica raffinata. Era uno che puntava anche alla porta, aveva il fiuto del gol e si spostava spesso da quel binario per entrare nel cuore dell'area. Il suo modo di fare l'ala destra, anche nelle poche presenza in azzurro, avevano dettato una moda. Cosa ci siamo persi? Il meglio. Ci siamo persi anche un giocatore che ci sarebbe stato utile in quegli anni per evitare qualche figuraccia e migliorare il rendimento della Nazionale. E avremmo avuto un campione in più al Mondiale in Messico". "E' stato uno dei giocatori più poetici del calcio mondiale - ha ricordato Pastorin -. E' stata una vita breve, consumatasi con una tragedia, ma nel suo cammino ha saputo conquistare tutti con la sua bellezza e fantasia. Ricordo nel 1967, quando se ne andò a poca distanza da Che Guevara. Due rivoluzionari, uno che ha saputo portare nel mondo il senso dell'uomo nuovo, della libertà degli oppressi, l'altro ha portato nel calcio il senso poetico, come Garrincha, Best. Ho avuto la fortuna di incontrarlo, era di una disponibilità incredibile. Sapeva conquistare tutti anche oltre il prato verde. Era un poeta, un sognatore. Giocò la sua ultima sfida contro la Sampdoria, mentre il primo derby senza di lui vinse il Toro per 4-0 e io andai allo stadio con la bandiera bianconera listata a lutto, perché era venuto meno un calciatore importante per tutti".