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Il Milan di Max fa visita ad una Juve in sofferenzaTUTTO mercato WEB
Oggi alle 00:01Editoriale
di Roberto De Frede
per Bianconeranews.it

Il Milan di Max fa visita ad una Juve in sofferenza

Sii come le onde del mare, che pur infrangendosi contro gli scogli trovano la forza per ricominciare. (Jim Morrison)

La Juventus soffre nuovamente di pareggite, una brutta malattia, causata da forte carenza di calcio. Peggio ancora, la Vecchia Signora non sa più difendere, non riesce a gestire con equilibrio e senza errori un vantaggio afferrato con i denti non senza fatica (troppa) in Spagna contro il Villareal. Gli spettri del recente passato riappaiono pericolosamente e non soltanto perché la notte di Halloween è vicina.

Le più grandi vittorie storicamente nascono da grandi difese. Nel vasto campo di battaglia che è il calcio, tra l’erba verde e gli occhi avidi dei tifosi, spicca un’arte spesso oscurata dalla gloria degli attaccanti, che si cela dietro le quinte, ma che è la colonna portante di ogni vittoria. È la difesa, il muro umano eretto per proteggere il sacro recinto dell’area di rigore, dove ogni centimetro è una roccaforte da difendere, dove ogni minimo errore può condurre alla rovina. Il difensore, in special modo quello centrale, è un architetto del calcio, costruttore di difese impenetrabili. Nel corso degli ultimi quarant’anni, davanti ai portieroni, ne sono passati di Le Corbusier, Wright, Gropius, Piacentini, Gio Ponti, Renzo Piano, che “tradotti” rispondevano ai nomi di Scirea, Brio, Ferrara, Montero, Cannavaro, Thuram, Bonucci, Barzagli, Chiellini.

Con passi misurati, con occhi vigili, lui e i suoi compagni di squadra tessono una tela che sfida le leggi della fisica e dell’ingegneria. Sono guardiani dei cancelli e dei segreti del calcio, e la loro missione è chiara: impedire al nemico di infrangere le mura della loro fortezza. Gli attaccanti fanno vincere le partite, i difensori vincono i campionati, diceva un tale che ha inventato una gran fetta di calcio: Pelé.

La parola difesa nasconde un significato più profondo di quanto appaia. È l’arte di anticipare, di leggere il futuro nei passi incerti dell’avversario, di intuire il movimento del pallone prima ancora che lasci il piede del tiratore. Il difensore, il “muro”, è colui che infrange le speranze degli avversari, il baluardo che respinge gli assalti avversari con una fermezza impenetrabile. Il difensore è molto più di un individuo solitario, è una parte di un’orchestra ben coordinata, un membro di un’unità coesa che si muove come un’unica entità. Insieme, i difensori si abbracciano con uno sguardo e una comprensione reciproca, comunicando senza parole, legati da una sinfonia di anticipazione e solidarietà.

Stare lì dietro, nelle retrovie, è un sacrificio, sempre sul pezzo, senza potersi distrarre un istante. Indicativo uno sfogo del paròn Nereo Rocco ad un giornalista agli inizi degli anni Settanta: «Io posso prendere un terzino e metterlo all'ala senza che nessuno dica niente. Ma se prendo un'ala e gli chiedo una volta, per un'emergenza, di fare il terzino ne devo render conto al sindacato? Ma andè in mona tuti quanti, Spegiorin, Campana e ti che me sta a 'scoltar a 'sta ora de note».

Ogni passo, ogni intercettazione, ogni scivolata è un tassello nel mosaico della difesa. Nel calcio, come nella vita stessa, la difesa rappresenta la resistenza, la perseveranza e la solidarietà. È l’arte di proteggere il proprio terreno, di creare un muro umano che sfida il destino e resiste alle inevitabili tempeste. In un mondo in cui il calcio è spesso celebrato per la bellezza degli attacchi e la grazia dei gol, il difensore rimane un eroe inosservato, un custode delle sacre geometrie del campo da gioco, imprescindibile.

Nella Juventus di oggi solo Bremer appartiene a questa categoria, e ahimè fisicamente non è in gran forma. Quando non gioca lì dietro si va allo sbando, vengono alzati solo castelli di carta tirati giù con semplici incursioni di aeroplanini fatti della stessa sostanza. Di certo il centrocampo, difesa della difesa, e primo marchingegno d’attacco, non da l’ausilio sperato. Quella zona del campo, fulcro del gioco, ha di nuovo la coperta corta, troppo, e il freddo sta arrivando. Oltre al gelo, sotto quel copertino c’è un tassello di un puzzle inesistente: Koopmeiners, in campo una presenza imbarazzante, come imbarazzante – a giudizio di chi scrive - è colui che lo sceglie come titolare.

Sembra che la Juve sia in perenne attesa di momenti propizi, e noi con lei. Momenti in cui la bilancia della storia è come sospesa in equilibrio e sembra che basti un capello per farla pendere in un senso o nell'altro; momenti solitari in cui tormento interiore di un grande artista si condensa come per forza di magia dando vita a un capolavoro; momenti in cui un singolo individuo, per caso o per sete d'avventura, intraprende la sua marcia verso l'immortalità esplorando regioni sconosciute: queste sono le "ore stellari dell'umanità" che sono accadute spesso anche nel calcio bianconero, quando l’antidoto alla pareggite era schierare in campo undici campioni con un unico obiettivo fino alla fine. Ad averceli!

È vero, la dipendenza delle sorti umane è legata anche all'occasione, quell'effimera, volubile condiscendenza del destino che i greci chiamavano kairòs, un tempo qualitativo, che implica la necessità di riconoscere e cogliere l'attimo giusto per creare valore, innovare e costruire il futuro. David, il canadese, il fiore (già appassito?) all’occhiello del calciomercato, dinanzi alla porta vuota del Villareal ha scalciato in malo modo tale concetto.

Ordunque stasera il Milan di Allegri all’Allianz, per giocare quello che per molti è il vero derby d’Italia, sperando che il compito di fermare il genio Modric non sia assegnato all’olandese dagli zoccoletti di piombo e che il kairòs regni tra gli undici bianconeri!

Roberto De Frede