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Eccolo il portiere che farà volare la Juventus!TUTTO mercato WEB
Oggi alle 00:01Editoriale
di Roberto De Frede
per Bianconeranews.it

Eccolo il portiere che farà volare la Juventus!

“Ho imparato che quando un neonato stringe per la prima volta il dito del padre nel suo piccolo pugno, l’ha catturato per sempre”. (Gabriel Garcia Marquez) “Il cuore di un padre è il capolavoro della natura”. (Antoine François Prévost)

Ero molto piccolo, avevo all’incirca cinque anni. Il ricordo è ancora limpido e indelebile nella mia memoria, nonostante le voci di quegli istanti sembrano ormai disperdersi con forza nell’immensità e le luci dell’abat-jour sul comodino appaiono più soffuse di quanto già lo erano. In camera da letto dei miei genitori ero intento ad ascoltare papà mentre mi leggeva le avventurose pagine dell’Isola del Tesoro di Robert Louis Stevenson. Entravo con lui nella taverna dell’"Ammiraglio Benbow", cantavo con quella ciurmaglia di avventori «Quindici uomini sulla cassa del morto, io-ho-ho! E una bottiglia di rum! Il bere e il diavolo hanno fatto il resto, io-ho-ho! E una bottiglia di rum!» e cominciavo a fantasticare…

Papà mi ha insegnato a sognare, attraverso la sua timidezza e il suo amore. Con maestria e garbo mi ha messo a disposizione, su un vassoio d’argento, tutto ciò che considerava il massimo in letteratura, musica e cinematografia, con il desiderio che in me si sviluppassero valori e sentimenti altissimi. In particolare il senso del dovere, - in lui immenso, fiero di essere stato lanciere di cavalleria e carrista delle truppe corazzate ai tempi della leva - quasi lanciandomi con il suo sguardo continuamente un po’ il famoso messaggio comunicato alle navi britanniche che l'ammiraglio Horatio Nelson fece issare sulla sua nave, la HMS Victory, poco prima dell'inizio della battaglia di Trafalgar, il 21 ottobre 1805: "England expects that every man will do his duty" (L'Inghilterra si aspetta che ogni uomo compia il suo dovere). A giudicare da quanto - bontà loro - mi viene detto dalle persone che mi conoscono, credo che mio padre sia riuscito nel suo intento, e di questo ne sono felice, e il mio grazie non potrà mai essere equiparabile a quanto abbia ricevuto. Un ringraziamento glielo devo anche per un altro piccolo motivo: papà non era un tifoso, né un appassionato di sport, ma era silenziosamente attento, come tutti i saggi, a quanto intorno accadeva. Sempre in quella dolce fantastica sera, tra pirati e tesori, in compagnia di Long John Silver e del giovane Jim Hawkins, gli chiesi: “papà ma quale è la squadra più forte del mondo?”. La risposta fu una, luminosa e altisonante: “la Juventus”! Da allora non ho mai lasciato sola la Vecchia Signora; così come non lascerò mai solo il mio papà, un tesoro che ho scoperto sin dalla mia nascita, senza bisogno di cercarlo con mappe e traversate, morto domenica scorsa serenamente tra le mie braccia. Rimarrà per sempre con me, continuando a insegnarmi di vivere ora ciò che gli altri sognano di vivere nel futuro.

* * *

Era il 1983. A Napoli vengono emessi 856 ordini di cattura contro uomini politici, avvocati e imprenditori accusati di collegamento con la Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo (verrà definito il "venerdì nero della camorra"); coinvolto fra gli altri Franco Califano e il presentatore televisivo Enzo Tortora: tre anni dopo quest'ultimo sarà assolto con formula piena. Al cinema cominciava la saga dei cinepanettoni con Vacanze di Natale, e sempre di Carlo Vanzina, si sognavano spiagge e ombrelloni con Sapore di Mare, ascoltando What a Feeling di Irene Cara, immaginando di “diventare famosi”. Il Natale del 1833 di Mario Pomilio vince il Premio Strega. La Juventus “mondiale” ad Atene perde inaspettatamente la sua seconda finale di Coppa dei Campioni, stavolta contro un mediocre Amburgo. È l’ultima partita in bianconero di Dino Zoff.

Dopo di lui, a proteggere la porta arrivò

                                            STEFANO TACCONI

Il Cyrano de Bergerac del calcio italiano, il portiere guascone per eccellenza. Stravagante e bizzarro, con quel suo stile fieramente gradasso ma dal cuore nobile, spaccone, pure nel baffo, nei lunghi riccioli capelluti biondastri e nei beffardi occhi celesti scintillanti. Disinvolto, sfrontato, spavaldo e magnetico, metafora vivente dell’equazione “se sei matto vai in porta”. Entrato nel cuore dei tifosi per la sua unicità, in campo con lui non ci si annoiava mai. Si infiammava nelle sfide decisive, numero uno estroso e spettacolare, dal fisico esplosivo, con le sue casacche dai colori sgargianti, sembrava caricato a molla e acrobaticamente era imbattibile da un palo all’altro, con l’agilità di un felino; spericolato e impeccabile nelle uscite frontali.

Questo suo modo di interpretare il ruolo colpiva molto la fantasia dei bianconeri, tanto da attribuirgli soprannomi di personaggi romanzeschi così diversi tra loro: da Capitan Fracassa, eroe di cappa e spada di Gautier, al Tarzan di Burroughs, signore della giungla che volava da una liana all’altra, al Porthos il moschettiere più sanguigno di Dumas. All’apparenza mostrava di essere un personaggio cinico, individualista ed egocentrico, tuttavia la sua personalità, inscindibile dalla sua carriera, è stata sempre contraddistinta dalla lealtà e solidarietà verso compagni e avversari: un Corto Maltese degli anni Ottanta, con l’immancabile Marlboro.

Grande carattere non solo tra i pali, non aveva peli sulla lingua. La dissimulata diplomazia e la falsa compostezza non facevano parte del suo modus vivendi: le sue piccanti dichiarazioni rilasciate nei post-partita, spesso e volentieri, gli sono costate salatissime multe da parte della dirigenza bianconera.

Nasce a Perugia il 13 maggio 1957. Dopo i primi calci nella squadra del suo paese e gli studi alberghieri per coltivare anche l’altra sua passione, quella dell’arte culinaria, fa gavetta nelle serie inferiori con lo Spoleto, la Pro Patria, il Livorno, e la Sambenedettese. Esordisce in serie A con i lupi verdi dell’Avellino nella stagione ’80-81, agli ordini di Luís Vinício. Rimane in Irpinia per un triennio, facendo molto bene, interpretando il ruolo in maniera spregiudicata, adattandosi anche come libero aggiunto. 

Nell’estate dell’83, Boniperti lo sceglie per raccogliere il pesantissimo testimone lasciato da Dino Zoff. Prendere il suo posto è un compito che avrebbe spaventato chiunque, ma non il portiere perugino, il quale non manifesta il minimo turbamento, esibendo sempre tanta sicurezza, grazie anche alla difesa destinata a proteggerlo: è quanto di meglio al mondo sia stato assemblato in quegli anni, da Gentile a Cabrini, da Brio a Scirea. Rimane alla Juventus per nove stagioni, ricevendo nelle ultime anche l’onore di indossare la fascia da capitano, e conquista tutto quanto era possibile vincere, in 402 incontri disputati. Il suo palmarès mette in bella mostra: due scudetti, una Coppa Italia, una Coppa Uefa, una Coppa delle Coppe, una Coppa dei Campioni, una Supercoppa Uefa e la Coppa Intercontinentale nel 1985 a Tokio, diventando campione del mondo.

Nella capitale nipponica vive il momento sportivo più esaltante della sua carriera, risultando decisivo nel vittorioso esito nella lotteria finale dei calci di rigore. La sua espressione dopo l’ultima decisiva parata del rigore tirato da Pavoni, difensore dell’Argentinos Juniors, è nella storia televisiva e fotografica del calcio. Pugni stretti al cielo, ghigno di chi è arrivato dove nessuno avrebbe mai detto, gioia incontenibile. La stessa di milioni di juventini che hanno messo la sveglia nel cuore della notte per non perdersi il brivido di essere sul tetto del mondo.

Lascia la Juventus nel ’92 in buone mani, ad Angelo Peruzzi, e si trasferisce al Genoa, dove, dopo due anni, chiude sotto la lanterna la sua trionfale carriera. Nel ’93 vince il premio Gaetano Scirea, per essersi contraddistinto in campo per lealtà e correttezza sportiva. Con la Nazionale non ha molto feeling, pur avendo partecipato, come dodicesimo, al Campionato d’Europa dell’88 e al Campionato del Mondo del ’90: disputa soltanto sette partite in azzurro, ma delle sette giocate, non ne perde alcuna.

Stefano Tacconi, uno dei più grandi portieri bianconeri di sempre, con i suoi trionfi e le sue rodomontate, rimarrà per sempre nel libro delle leggende della Juventus, e da oggi non solo lui.

Roberto De Frede