Menu Serie ASerie BSerie CCalcio EsteroFormazioniCalendari
Eventi LiveCalciomercato H24MobileNetworkRedazioneContatti
Canali Serie A atalantabolognacagliariempolifiorentinafrosinonegenoahellas veronainterjuventuslazioleccemilanmonzanapoliromasalernitanasassuolotorinoudinese
Canali altre squadre ascoliavellinobaribeneventobresciacasertanacesenalatinalivornonocerinapalermoparmaperugiapescarapordenonepotenzaregginasampdoriaternanaturrisvenezia
Altri canali serie bserie cchampions leaguefantacalcionazionalipodcaststatistichestazione di sosta
tmw / juventus / Editoriale
La Juventus d’oggi, traduzione di quella che fu…
domenica 21 aprile 2024, 23:59Editoriale
di Roberto De Frede
per Bianconeranews.it

La Juventus d’oggi, traduzione di quella che fu…

“Credo che una buona traduzione presupponga di aver compreso il testo, e che a sua volta questo presupponga di aver vissuto nel mondo reale, tangibile, senza mai ridurre tutto alla semplice manipolazione delle parole.” (D. Hofstadter)

… nella speranza che quanto prima si ritrovi in qualche vecchia biblioteca l’originale manoscritto.

Ho la sensazione che la Juventus, di cui da troppo tempo stiamo assistendo le mancate gesta, sia non una fotocopia di quella trionfale del remoto e recente passato, bensì una sorta di traduzione del manoscritto originale, quello che fu impresso, grazie ad un gutenberghiano torchio tipografico, nella Storia del calcio con un inchiostro indelebile dorato bianconero.

La traduzione però può essere una forma di censura, di arricchimento, di privazione, di metamorfosi. Può essere uno strumento per cambiare umori, intenzioni e morali. Un doveroso rischio. Confrontandosi con l’originale, il traduttore può scegliere di ignorare non soltanto qualche parola o paragrafo, ma anche alcune conseguenze e finali. Nella traduzione, Amleto non deve necessariamente morire, Don Chisciotte può anche non ricordare di essere Alonso Quijano, Madame Bovary può sfuggire al suicidio e perfino all’adulterio; ma non saranno mai i capolavori di Shakespeare, Cervantes e Flaubert. Sarà pure catalogata come letteratura, ma dell’anima degli originali neanche l’ombra, e senza di essa le pagine del libro diventano pesantissime e leggerlo e viverlo, impossibile. La partita contro il Cagliari - e non parlo di quello scudettato di Riva, Albertosi, Domenghini, Gori, Nenè, bensì di una squadra che si arrampica per rimanere in serie A – ha confermato che, sebbene in campo ufficialmente vi era la Juventus, della Storia della Juventus in Sardegna non c’era nulla, soltanto parole che vagavano all’impazzata sulla pagina verde. Una scarna e sciatta traduzione distante anni luce dall’originale, senz’anima, senza storia, senza entusiasmo. Il guaio è che per osmosi negativa al tifoso viene tolto un pezzetto d’anima, di storia e di entusiasmo: nefasta sensazione. Tanta è la voglia di ritrovare quell'entusiasmo perduto, ma ogni volta è come cercare rossi papaveri in un prato d'autunno. E a Cagliari era inverno pieno!

A volte si traduce anche in buona fede, ad esempio lo spagnolo Gomez Estrada, preoccupato che i bambini potessero terrorizzarsi, riservò a Barbablù, protagonista della fiaba di Perrault, una camera segreta ricolma non di mogli massacrate ma di monete d’oro, e trasformò il sadico assassino in un taccagno invece di un libertino. Tanto è che le sue versioni, acclamate dal pulpito, passarono alla storia come "I racconti del bel tempo". Ma questo tempo bianconero così “tradotto”, tutto ha fuorché l’aggettivo “bello”.

È pur vero che le traduzioni non possono essere “oneste”, perché devono per forza nascondere l’aspetto originale del testo. «Mi sembra, dice Don Chisciotte verso la fine della seconda parte delle sue avventure, che il tradurre da una lingua a un’altra sia come guardare gli arazzi fiamminghi dal rovescio: sebbene le figure si percepiscono, queste sono piene di fili che le adombrano, e non appaiono uniformi e del colore del diritto». Fare qualcosa alle spalle però significa essere disonesti; il contrario è mostrarsi in viso. Il più delle volte i traduttori non mostrano il proprio viso. Questo lo pensava, senza conoscere il calcio d’oggi, il Cavaliere dalla Trista Figura! Detto questo sono anche certo che coloro che dovranno fare la nuova Juventus non siano studiosi di Cervantes, e tradurranno con grande onestà l’arazzo guardandolo frontalmente.   

Chi ama la Vecchia Signora cerca in ogni modo di farsi strada tra quei fili di seta e di lana, brama di rivedere quella versione originale, quasi la scorge, si sforza con tutta l’anima, ma ad un tratto comprende che è soltanto il forte desiderio che spinge a far rivivere per un attimo quelle emozioni; alla fine ci si ritrova imbrigliati, come in una tela di un ragno, a subire pessime traduzioni, a veder giocare imbambolati un primo tempo vergognoso contro il Cagliari, andando sotto di due reti e rocambolescamente pareggiando grazie ad un’autorete. 

Nel nostro caso il traduttore, colui che ha la facoltà di scegliere quale senso e quali parole usare, dovrà essere la società, quella che in poche parole mette mano alla tasca e gestisce la vita presente e futura della Juventus. Siamo giunti alla fine della stagione e la prossima è alle porte. Forse, visto che l’agonia sta per concludersi e le partite che mancano sono davvero poche, si riuscirà anche ad entrare in Europa con i punticini miracolosamente accumulati e i nuovi posti concessi in Champions: nel vecchio continente non è dato far figure barbine, lì la traduzione dovrà essere magistrale, come Quasimodo con Saffo e Monti con Omero. Per tradurre bene, ammoniva Orazio, non bisogna farlo parola per parola, ma è necessario conoscere la Storia di quel testo, affinchè seppur con vocaboli differenti e modifiche lessicali, non venga mai scalfita l’anima originale, dispensatrice di nuova trionfale linfa a chi è in campo e ai tifosi, che desiderano rivedere calciatori con la maglia bianconera tatuata sotto quella ricevuta in dotazione dal magazziniere.

Roberto De Frede