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Da 0 a 10: l’urlo in faccia a Juric di Spalletti, la confessione di Orsato, la promessa di Osimhen e l’incredibile scandalo del cornerTUTTO mercato WEB
© foto di Daniele Buffa/Image Sport
lunedì 18 ottobre 2021, 15:36Copertina
di Arturo Minervini
per Tuttonapoli.net

Da 0 a 10: l’urlo in faccia a Juric di Spalletti, la confessione di Orsato, la promessa di Osimhen e l’incredibile scandalo del corner

Il Napoli batte il Torino con la rete di Osimhen: Insigne sbaglia un rigore e se la prende. Altra grande prestazione di Rrahmani e Ospina.

Zero a Juric, l’insopportabile Juric, l’insostenibile Juric. Che perde tempo, che rosicchia frammenti di gara come un roditore alle prese con degli avanzi e che trova pure l’ardire di lamentarsi. Vuole fare la morale Juric, con Spalletti che lo ammutolisce, prima urlandogli in faccia dopo la rete di Osimhen e poi servendo con lucida eleganza il piatto delle vendetta: ‘Ora non vi garba che tengo la palla?’ grida Luciano, frase che il quel momento risuona nell’etere più soave di un sonetto shakespeariano. Come Oronzo Canà con Zico: “Lo voglio vede per terra”. 

Uno il cartellino (tra i tanti non sventolati) che cambia la partita. L’arbitro Sacchi ammonisce il Comandante KK al 79’ e lui proprio non ci sa. Una rabbia che si fa arrembaggio: Kalidou fa l’attaccante aggiunto e duetta con Ciro nell’azione che precede la zuccata galattica di Osimhen. Fisicità, rabbia, tecnica nel tocco delicato che chiude il triangolo con Mertens. Koulibaly può. Praticamente tutto.

Due cambi meravigliosamente impopolari. Spalletti fa come Clark Gable in ‘Via col vento’ e Francamente se ne infischia del sentimento comune e bada alla sostanza, punta al risultato. Toglie Insigne ed accetta l’idea che non la prenderà bene, fa lo stesso con Lozano che era entrato poco prima. Accorcia la distanza tra il dire e il fare, non si perde nell’eloquio che resta solo danza dialettica. Agisce, sacrificando allo scopo ogni perdita accessoria. Faccio ergo sono: un Cartesio meno pensatore e più pragmatico. 

Tre rigori sbagliati per Insigne. Che sbaglia perché pensa, non al rinnovo, ma ai due rigori sbagliati in precedenza. La paura è un circolo vizioso, un seme che attecchisce in fretta ed in qualsiasi condizione climatica. Non abbandoniamoci però alla metafilosofia dello ‘sbaglia i rigore perché pensa al rinnovo’. Immaginate la scena, con Lorenzo dal dischetto con la penna in mano ‘Che faccio, firmo o non firmo? Uso la penna rossa o quella nera?’. Non facciamoci del male. Almeno, non più di quanto già ci piace fare.

Quattro vittorie in fila per la Juve che resta agganciata al treno Champions. La notizia vera che arriva dallo Stadium, però, è un’altra: Orsato confessa di non conoscere il regolamento. Lo fa spiegando a Cristante che "Il vantaggio su rigore non si dà mai”. In realtà, in molti lo sapevano già sospettato quando l’avevano visto graziare Pjanic a San Siro su Rafinha. Tutto torna: un cerchio si è finalmente chiuso. 

Cinque gare consecutive da titolare in campionato e nessuna traccia di un errore che sia uno. Rrahmani è di una pulizia rara, che a confronto la ‘Caramella’ di Professione vacanze era poca roba. Elegante, ordinato, deciso, tiene a bada gli attaccanti del Torino come la Bambola assassina di ‘Un, due, tre, stella’ di Squid Game. Nessuno si muova, che Amir s’arrabbia. 

Sei al glorioso passato ed un invito alla riflessione sul presente. La Gazzetta dello Sport, edita da Urbano Cairo patron del Torino, racconta una gara che si è giocata in un altro campo, narra di una prestazione da brividi dei granata che avrebbero fatto vedere gli spiriti al Napoli. La perla? Il box dedicato alla moviola rivendica lo scandalo: “L’ultimo calcio d’angolo andava battuto”. Già, è accaduto davvero. E accadrà ancora, purtroppo. Questa, oggi, è l’informazione in Italia. Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi. E di giornalisti liberi…

Sette a Ospina, che accartoccia come carta straccia i luoghi comuni sui viaggi stancanti e sul jet-lag. David è lucido ed efficace nella difesa della sua porta, rivendica un concetto chiaro: questa è casa mia e qui comando io. Non è un prodotto ‘instagrammabile’ perché non nasconde nessuna fregatura. Non ha filtri, non ne ha bisogno, non sa nemmeno cosa siano. David è come Gennaro D’Auria: solo verità. E parate importantissime.

Otto su otto. Una scorpacciata di Napoli, di fatica, di solidità. Come Roberto Carlino, Spalletti vende solide realtà. Un palazzo che scopre solide fondamenta, una squadra che sa andare oltre le più invincibili scaramanzie. Sbagli un rigore, ti annullano un gol per cui hai esultato come un dannato, stampi sul palo il diagonale della liberazione, eppure resti lì. Ecco, è la vittoria del nonostante. Inno alla resilienza da tatuarsi sul braccio. Qui non si tratta di vincere o perdere. Qui si tratta di affrontare la vita come una strada in cui incontrerai Triofono e Rovina e dovrai trattare questi due impostori allo stesso modo. È una squadra che si è fatta Uomo, come vorrebbe Kipling. Che venera il culto dell’attesa: “Se saprai aspettare senza stancarti di aspettare”. Se insisti, il premio arriva.

Nove alle energie nuove che si fondono con quelle ‘vecchie’. Già, perché Anguissa incredibilmente quasi non fa più notizia, ma invece dovrebbe farla per la gara per gioca e per alcune giocate (apertura di esterno per Insigne) che sono roba per palati fini.  E poi c’è Ciro: scarica elettrica, che a bordo campo si scalda come un indemoniato che desidera il prato verde più di ogni altra cosa. C’è il guizzo di Mertens ad innescare la carambola vincente, l’ultima monetina che avevi in fondo ai pantaloni che ti assegna una pallina extra nel grande flipper della vita. 

Dieci alla stella nascente.  Fa il percorso inverso Osimhen, una cometa che punta l’universo. Mentre tutti scendono, lui sale. Anzi, ascende. Anabasi che è catarsi, purificazione, inevitabilità. Un deus ex machina che impone alla storia il giusto finale, una volontà superiore che non ammette repliche. C’è tutto nella partita di Victor, una commistione di generi come poche nella storia del gioco: ricorda così tanti attaccanti del passato che non ne ricorda nessuno. Perchè è unico, è un cucciolo arrivato da un altro pianeta che di giorno in giorno sorprende, prima di tutto se stesso, per le cose che riesce a fare. “È il gol più importante della mia carriera” dichiara e non mente: perché vive ogni gara come fosse la prima. Si nutre del piacere della scoperta, fiuta in ogni pallone lanciato per area l’opportunità di redenzione. Il suo stacco vincente è il sole che sorge, come nella prima scena del Re Leone. Siete tutti avvisati: Vuole diventar presto un Re.

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Un post condiviso da Arturo Minervini (@arturo_minervini)