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La mano dell'allenatore: Conte sugli scudi, e gli altri...
E’ un concetto astratto, difficile da identificare in termini specifici che spesso esulano dal freddo risultato che resta comunque il termine di paragone più immediato per definire il concetto di “mano dell’allenatore”. Capita così che ci siano squadre che veleggiano in vetta alla classifica dopo anni di anonimato e che si personificano con la loro guida tecnica, come sta accadendo all’Inter di Antonio Conte, e ce ne siano altre che pur avendo raccolto un solo punto in meno non possano ancora definirsi come la perfetta fusione tra la propria struttura di rosa ed il tecnico che ne è alla guida, come la Juventus di Sarri. Analizzando le due contendenti impressiona come i nerazzurri siano la trasposizione fedele della personalità e delle idee del loro condottiero, in grado di ribaltare la mentalità di un gruppo che nelle difficoltà e nell’emergenza, Lukaku a parte e non è un’eccezione da poco, è sostanzialmente lo stesso di un anno fa. Al contrario in casa Juventus, eccettuando alcune circostanze, si è ancora visto poco del gioco che ha sempre contraddistinto Sarri: l’ex tecnico del Napoli si è piuttosto distinto in caratteristiche che non gli erano immediatamente attribuibili come la gestione del gruppo più complicato che ci sia, eufemismo derivante dalla profonda qualità della rosa bianconera.
Chi si è calato nella parte con naturalezza è Paulo Fonseca, che non ha manifestato necessità di adattamento ad un campionato impegnativo come il nostro, e che non ha faticato nello scendere a compromessi efficaci per tenere la Roma nelle posizioni cui ambiva a bocce ferme. Un discorso che si estende ad Inzaghi, capace nel tramutarsi alla bisogna dapprima in incudine e poi in martello, per gestire gli attacchi del suo Presidente e per farsi rispettare da un gruppo, caso Immobile docet, che trae beneficio da ogni confronto. La nota stonata è rappresentata, paradossalmente, da chi non ti saresti aspettato: quell’Ancelotti che per titoli conquistati non ha rivali ma che a Napoli ha mostrato troppo poco del suo repertorio. Se il piatto forte era la simbiosi con il gruppo, e le risultanze sono gli ammutinamenti ed i ritiri in serie, c’è qualcosa che non va. Ed in questo caso sì, che i risultati sono una rappresentazione fedele del tutto.
Chi si è calato nella parte con naturalezza è Paulo Fonseca, che non ha manifestato necessità di adattamento ad un campionato impegnativo come il nostro, e che non ha faticato nello scendere a compromessi efficaci per tenere la Roma nelle posizioni cui ambiva a bocce ferme. Un discorso che si estende ad Inzaghi, capace nel tramutarsi alla bisogna dapprima in incudine e poi in martello, per gestire gli attacchi del suo Presidente e per farsi rispettare da un gruppo, caso Immobile docet, che trae beneficio da ogni confronto. La nota stonata è rappresentata, paradossalmente, da chi non ti saresti aspettato: quell’Ancelotti che per titoli conquistati non ha rivali ma che a Napoli ha mostrato troppo poco del suo repertorio. Se il piatto forte era la simbiosi con il gruppo, e le risultanze sono gli ammutinamenti ed i ritiri in serie, c’è qualcosa che non va. Ed in questo caso sì, che i risultati sono una rappresentazione fedele del tutto.
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