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Beppe Dossena: "Torino nel cuore ma con la Sampdoria quante soddisfazioni..."TUTTO mercato WEB
ieri alle 20:45Storie di Calcio
di TMWRadio Redazione

Beppe Dossena: "Torino nel cuore ma con la Sampdoria quante soddisfazioni..."

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Una carriera tra campo e panchina. Beppe Dossena ha vissuto gli anni più belli del calcio italiano, quelli a cavalo tra gli anni Ottanta e Novanta, da protagonista. E si è raccontato a TMW Radio in Storie di Calcio.

Cresce calcisticamente nel vivaio della squadra milanese dell'Alcione, entra poi a far parte nelle giovanili della squadra più organizzata d'Italia in tal senso, il Torino. E dopo aver vinto il campionato Primavera 1976-1977, battendo in finale i pari età del Cesena, fa le sue esperienze prima alla Pistoiese, poi a Cesena e Bologna. Poi, dopo quattro anni di alto livello, torna granata. E grazie alle sue prestazioni viene convocato per il Mundial, dove si laurea campione senza però mai scendere in campo, ma soprattutto diventa l'idolo dei tifosi del Toro. Memorabile la sua rete nel derby del 27 marzo 1983, quello del 3-2, che portò i supporters granata a dedicargli anche uno striscione ("Un magico Dossena per una magica curva").

I suoi sei anni al Torino terminarono improvvisamente, e in maniera non serena, con la cessione in Serie B all'Udinese, dopo un brevissimo passaggio estivo (1987) alla Lazio, per alcune frizioni con la proprietà granata. Ma poi arrivò l'altra grande occasione, con la Sampdoria, con la quale vince campionato, Coppa Italia, Supercoppa e Coppa delle Coppe. Poi l'addio, anche qui improvviso, nel 1991, con il passaggio in C al Perugia e la fine della sua carriera.

"Ho fatto quello che sognavo da bambino, ho raggiunto traguardi importanti come la Coppa del Mondo. Ho dato corpo a un sogno, perché giocare a calcio e divertirmi è quello che ho sempre sognato - ha raccontato Dossena -. Nasco in oratorio, dove ho dato i primi calcio. Poi a 14 anni passo al Torino nelle giovanili, ho la fortuna di incontrare persone importanti che mi hanno fatto crescere e poi sono passato al professionismo. L'Alcione mi portò a provare a una società vicino Varese, e andammo a provare per Juve e Torino. E fui preso dal Torino. Inter e Milan non mi selezionano perché ero piccolo e non avrei potuto crescere più di tanto. Caso vuole che a 12 anni mi operarono di appendicite e cominciai a crescere. Ma non è un rimpianto non aver giocato per una squadra della mia città. Mi sarebbe piaciuto, ma io volevo giocare".


E dell'esperienza al Torino ha ammesso: "Da ragazzo andavo a scuola in uno dei quartieri più difficili di Torino, studiavo di sera, ma sono tutte esperienze che mi hanno formato. Sono davvero cresciuto lì e mi sento ancora con tanti di quel periodo. Poi ho fatto le mie esperienze prima di ritornare in granata nel 1981. Ebbi Giacomini, poi Bersellini e Radice, che avevo avuto a Bologna. Fu incredibile, soprattutto il primo anno, con tanti delle giovanili in campo. Facemmo una bella stagione con Bersellini, con il derby del 3-2 dove segnai, poi con Radice arrivammo secondi dietro al Verona. Ho incontrato giocatori stranieri di livello umano assoluto, come Junior, ma anche tanti altri giocatori che mi hanno lasciato qualcosa d'importante". Mentre sul periodo doriano ha raccontato: "Vincere il campionato fu un'impresa, quella squadra ha fatto 10 finali in 5 anni, un periodo eccezionale di una squadra piena di talento e che deve la sua fortuna a un uomo straordinario come Paolo Mantovani. Sono cresciuto nel Torino ma mi sono tolto grandi soddisfazioni alla Samp. Mi ricordo la firma del primo contratto, incredibile. Sapeva fare il presidente, il tifoso, l'amico. Aveva grandissime qualità. Vialli era un po' lunatico ma di un'empatia clamorosa, ma era una squadra piena di talenti, di grandissima personalità. Boskov? Era l'allenatore giusto per quel club. Abbiamo vinto poco per il nostro valore? Alla fine abbiamo portato a casa qualcosa, lì ci voleva un tecnico che sapesse stare al mondo e lui era ideale. Un altro non avrebbe raggiunto gli stessi risultati".

Un pensiero anche per Bearzot: "Lui aveva bisogno di uomini che pensassero solo a quello. Per certi aspetti aveva ragione lui, ma io feci scelte che si scontravano con le sue idee. Non abbiamo avuto un rapporto burrascoso, però sicuramente è andato avanti per le sue idee ed è stato capace di difenderle, così come ha difeso sempre il gruppo. Una persona eccezionale dal punto di vista umano. Eravamo su due lunghezze d'onda diverse sul come intendere la vita e la professione del calciatore, ma lo devo comunque ringraziare per quel Mondiale".

E ha anche ricordato degli episodi particolari: "Ho perso la medaglia del Mondiale perché l'ho messa nella tasca della tuta. E qualcuno che se l'è presa e se la sarà ritrovata lì. Ma è successo anche da allenatore col Ghana. Ma la mia vita è così, non mi giro mai indietro e non mi porto qualcosa di 'superfluo'". E poi il podio dei presidenti "del cuore": "Mantovani, Giovanni Cragnotti e Sergio Rossi".