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20 febbraio 1979, muore Nereo Rocco, il Paròn: inventò il catenaccio

20 febbraio 1979, muore Nereo Rocco, il Paròn: inventò il catenaccioTUTTO mercato WEB
lunedì 20 febbraio 2023, 00:00Accadde Oggi...
di Gaetano Mocciaro

Nella sua Trieste, in cui era nato poco meno di 77 anni prima, il 20 febbraio del 1979 si spegne dopo una breve malattia Nereo Rocco, personaggio vulcanico e di straordinario fascino del calcio italiano. Il nome di Nereo Rocco è legato soprattutto ai suoi trofei, vinti da allenatore. Attività che inizia ad intraprendere negli anni '40 dopo quella di calciatore. Come allenatore il Paròn (capo, dal dialetto triestino) guida diverse squadre, ma è con il Milan che vince a ripetizione sia in campo nazionale che internazionale, guidando i rossoneri alla prima storica vittoria in Coppa dei Campioni del 1963. Inventore del catenaccio, ossia di una modalità tattica volta soprattutto alla fase difensiva, la scuola di Rocco ha avuto soprattutto nel calcio italiano tantissimi seguaci.

Raccontarne le gesta che l’hanno portato a vincere 2 Scudetti, 2 Coppe delle Coppe, 2 Coppe dei Campioni e una Coppa Intercontinentale alla guida del Milan sarebbe probabilmente inutile. Abbiamo scelto allora di ricordarlo attraverso i suoi aforismi estrapolati dal libro “La leggenda del Paròn” di Gigi Garanzini, semplicemente la miglior biografica calcistica italiana mai scritta.

1. “A tuto quel che se movi su l’erba, daghe. Se xe ‘l balon, no importa”: è la sua massima più famosa, eppure si tratta di un clamoroso falso storico, come testimonia Rivera: «Una frase come questa Rocco non l’avrebbe detta nemmeno da ubriaco. Io l’ho sentito un’infinità di volte raccomandare una marcatura stretta, asfissiante. Non gli ho mai sentito dire di far male a qualcuno. Sono certo che non gli è mai venuto in mente». Gianni Mura spiegherà che in realtà il protagonista di questa massima fu Memo Trevisan, giocatore triestino e poi allenatore.

2. “Vinca il migliore! Ciò, speremo de no”: è una delle più fulminanti e celebri battute del Paròn, una sorta di testamento. La leggenda narra che l’abbia detta a un giornalista torinese alla vigilia di un Juventus – Padova del 1956, in risposta al cavalleresco saluto di commiato del cronista.

3. “A Milàn son el comendator Rocco, ma a Trieste resto quel mona del bècher”: una carriera costellata di successi, eppure a Trieste, nella città dove Nereo era nato e dove il padre faceva il macellaio (il bècher in dialetto), molti tifosi gli ricordavano l’infelice esperienza alla guida della Triestina del 1954. Un cruccio per Rocco che tra l’altro aveva portato gli alabardati al secondo posto nel ’48. Da lì questa affermazione, densa di amarezza.

4. All’Appiani arriva il Vicenza per un derby che promette scintille. Tra i biancorossi c’è Sergio Campana, campioncino in sboccio, e allora Rocco suggerisce a Scangellato, suo diretto marcatore, “tochelo un poco”. Campana fa passare un brutto primo tempo a Scangellato che però non appena ha l’opportunità decide di tenere fede ai consigli del suo allenatore: così quando il fantasista vicentino sta per crossare nei pressi del calcio d’angolo il difensore patavino lo travolge e lo spedisce contro la bandierina che si spezza in due dall’urto. Scoppia inevitabile il parapiglia e a quel punto il Paròn si avvicina al suo giocatore: “Te go dito de tocarlo, no de coparlo”.

5. Enore Boscolo è uno dei giovani virgulti della Triestina, tra i più tartassati dai senatori in fatto di scherzi. Capita un giorno che il vecchio Sessa trovi i cioccolatini in una che il goloso ragazzo si è portato per una trasferta e glieli mangi tutti. Da lì scatta la vendetta, su benedizione di Rocco: dopo una gita a Taormina Sessa compra una scatola di dolci per la fidanzata, il Paròn durante il ritorno in treno lo distrae e Boscolo li divora sostituendoli con i suoi “rifiuti corporali”. Quando Sessa li porta alla fidanzata e realizza l’accaduto va su tutte le furie, ma Nereo lo tranquillizza dicendo che i suoi giocatori non fanno certe cose e che l’autore del brutto tiro sarà stato certamente un estraneo. Molti anni dopo, quando Boscolo va a Trieste a trovare il suo antico maestro, si presenta con una scatola di cioccolatini. Lapidario, il Paron esclama “Ciò, speremo che no i sia come quelli de Sessa”.

6. Rocco non credeva di essere un genio o un profeta e per questo ai suoi giocatori era solito ripetere “Mi te digo cossa far, ma dopo in campo te ghe va ti”. In tutte le squadre per scegliere la formazione si affidava ai suoi calciatori più rappresentativi, la cosiddetta “commissione interna”. Se poi un giocatore si lamentava dell’esclusione dall’undici titolare, la risposta non ammetteva repliche: “Decision de la siora Maria”. Cioè sua moglie.

7. È il 1961 e Rocco è il nuovo allenatore di un Milan che in avvio stenta non poco. In attacco ha Jimmy Greaves, attaccante inglese tra i migliori al mondo nel suo ruolo, ma incompatibile con il calcio italiano. “Sto mona de inglisc, xe bravo quando xe facile, ma quando xe ora de sofrir el salpa par la so isola” si lamentava il Paròn. Rizzoli decide di cederlo, i rossoneri si riprendono e Gipo Viani sostituisce il britannico con un centrocampista brasiliano, Dino Sani. Non uno con il physique du role: basso, rotondetto e stempiato, quando lo vede Nereo prima pensa a uno scherzo e poi esclama “Gavemo comprà un impiegà del catasto. Gipo nostro ga fato rimpatriar el nonno”. Invece Sani sarà decisivo per la conquista dello Scudetto di quell’anno.

8. Il 31 dicembre il Milan festeggia l’anno nuovo in un locale del centro e Rocco è seduto al tavolo con un paio di dirigenti. Un cameriere in livrea lo raggiunge e chiede se ai suoi ospiti voglia offrire uno spumante Riccadonna o uno Champagne Moët & Chandon. Il Paròn prima lo fulmina con lo sguardo e poi risponde “Richardon, grazie”. Tradotto, «fammi fare bella figura, ma fammi spendere poco».

9. Rapporto complesso quello tra Rocco e la lingua francese. In una trasferta a Parigi, i rossoneri trovano alla stazione la loro guida che saluta l’allenatore con un caloroso «Monsieur Rocco, mon ami». Il Paròn per poco non gli salta addosso e poi gli urla “Mona a mì? Mona a tì e anca testa de gran casso”.

10. 22 maggio 1963, il Milan sta andando a Wembley per sfidare il Benfica di Eusebio nella finale di Coppa dei Campioni. Sul pullmann che porta la squadra all’Empire Stadium la tensione si taglia a fette. Allora Rocco mentre il bus sta parcheggiando arringa i giocatori: “chi no xe omo, resti sul pulman”. I giocatori scendono e si avviano verso gli spogliatoi, poi si voltano e vedono che il Paròn non c’è. Tornano indietro a cercarlo e lo trovano lì sul bus, che non si è mosso di un millimetro. Le inevitabili risate servono a stemperare la tensione e il Milan alzerà la coppa.

11. Ormai a fine corsa, Rocco viene impiegato come osservatore per il Milan di Liedholm. Dopo un Verona – Roma vista con Garanzini in tribuna, detta all’amico la relazione: “Me piase Santarini, el portièr e De Sisti. Pruzzo xe pesante de fianchi, tuti i altri i fa barufa a centrocampo. Tatticamente, me racomando, scrive bén, xe la storia de tuti i alenadori. Dal lùnedi al vénerdi i xe olandesi. Al sabato i ghe pensa. La domenica, giuro su la mia beltà, tuti indrìo e si salvi chi può“.

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