
Dea, guarire dalla “pareggite” si può: serve un gol (e il vero Ederson è già la cura)
C’è una malattia che non fa male ma logora: si chiama “pareggite”. Non lascia ferite, ma rallenta la corsa. E l’Atalanta, che non perde mai, continua però a non vincere abbastanza. Il rimedio, in teoria, è semplicissimo: bisogna segnare. Anche solo un gol, ogni tanto, basterebbe per curare il malanno che da settimane tiene la squadra in bilico tra dominio e sterilità.
La ricetta, però, è più complessa di così. Perché la lucidità sotto porta non si insegna, si ritrova. E quando in 90 minuti giochi davvero solo 45, le probabilità di colpire si dimezzano. Contro la Lazio si è vista la solita storia: una prima frazione sotto ritmo, quasi svogliata, e una ripresa arrembante ma sprecata.
La Dea ha bisogno di continuità, non di scatti d’orgoglio. Mezz’ora di qualità non può bastare a compensare un’ora di indecisioni. Juric lo sa, ma deve ancora trovare l’equilibrio tra la prudenza tattica e la ferocia offensiva che ha reso grande l’Atalanta. Il paradosso è che i numeri dicono una squadra viva, intensa, organizzata: ciò che manca è la scintilla. E nel calcio, senza la scintilla, la superiorità si disperde come un fuoco che non prende mai.
L’unica vera notizia positiva arriva da Ederson, tornato finalmente ai livelli che Bergamo ricorda. Il centrocampista brasiliano, dopo mesi difficili per l’intervento al menisco e una condizione che sembrava lontanissima, ha mostrato segnali di rinascita. Contro la Lazio ha fatto la differenza per ritmo e presenza, nonostante l’errore sotto porta — un “rigore in movimento” sparato addosso a Provedel. È il simbolo della squadra: tanta corsa, tanto cuore, poca concretezza. Ma, a differenza di altri, Ederson è in ripresa - ne prende atto e rimarca L'Eco di Bergamo -. Sta tornando il giocatore totale capace di tenere insieme fisico, intelligenza e qualità tecnica. Quello che dà equilibrio, che accende le transizioni, che spinge i compagni a crederci fino alla fine.
Perché un altro Ederson non c’è. Né all’Atalanta, né probabilmente tra le rivali dirette. Quando è al meglio, il brasiliano è un valore assoluto per la Serie A. Recuperarlo pienamente è più importante di qualsiasi acquisto, più decisivo di un gol mancato. È l’uomo che fa girare il motore di Juric, che unisce le due fasi e libera il talento di chi gioca davanti.
Se Lookman sta ritrovando ritmo e coraggio, e Scamacca resta ancora un’incognita da dosare con cautela, il ritorno del vero Ederson rappresenta la prima pietra su cui costruire la svolta. Con i suoi strappi e la sua intensità, la Dea può finalmente tornare a dominare con efficacia, non solo con estetica.
L’Atalanta ha tutto per uscire da questo periodo di “pareggite”: gioco, identità, cuore e – ora – di nuovo il suo perno di centrocampo. Ma deve imparare a essere più spietata, meno romantica. Le partite non si raccontano, si vincono. E la Dea, che sa dominare senza chiudere, deve ricordarsi che il calcio non premia chi gioca meglio, ma chi la butta dentro.




