Menu Serie ASerie BSerie CCalcio EsteroFormazioniCalendariScommessePronostici
Eventi LiveCalciomercato H24MobileNetworkRedazioneContatti
Canali Serie A atalantabolognacagliaricomocremonesefiorentinagenoahellas veronainterjuventuslazioleccemilannapoliparmapisaromasassuolotorinoudinese
Canali altre squadre ascoliavellinobaribeneventobresciacasertanacesenafrosinonelatinalivornonocerinapalermoperugiapescarapordenonepotenzaregginasalernitanasampdoriasassuoloturris
Altri canali mondiale per clubserie bserie cchampions leaguefantacalciopodcaststatistiche
tmw / atalanta / Primo Piano
ESCLUSIVA TA - Manfredini: "L’Atalanta di Juric è in transizione, ma ha dentro la forza di rinascere"TUTTO mercato WEB
© foto di Daniele Buffa/Image Sport
Oggi alle 01:00Primo Piano
di Claudia Esposito
per Tuttoatalanta.com

ESCLUSIVA TA - Manfredini: "L’Atalanta di Juric è in transizione, ma ha dentro la forza di rinascere"

L’ex difensore nerazzurro analizza il momento attuale: “Non è più l’Atalanta che poteva vincere con chiunque, ma la forza del gruppo farà la differenza"

Thomas Manfredini non ha mai avuto bisogno di alzare la voce per farsi rispettare. Leader silenzioso, vecchia scuola: lavoratore, concreto, sempre pronto a mettere la squadra davanti a tutto. Otto stagioni con l’Atalanta (le prime due in prestito a Rimini e Bologna in B, poi dal giugno 2007 al gennaio 2013 in nerazzurro), 141 presenze e 5 gol a suon di battaglie, sudore e appartenenza. Ha incarnato lo spirito bergamasco: tosto, riservato, sincero. Doppio ex di Atalanta–Sassuolo, a Sassuolo ha vissuto una sfortunata parentesi (gennaio–giugno 2014, 3 presenze). Oggi allena in Promozione, ma resta un simbolo della Dea che non mollava mai.

Thomas, cosa ti resta degli anni all’Atalanta?
«È stata la squadra più importante della mia carriera - confida, in esclusiva, ai microfoni di TuttoAtalanta.com -. A Udine ero una promessa e, dopo peripezie e infortuni, l’Atalanta — soprattutto quella di Del Neri — mi ha permesso di tornare in A e dare il meglio. Mi ha ridato la possibilità di rilanciarmi e diventare un giocatore importante, quando negli anni precedenti mi ero un po’ perso».

Delneri è l’allenatore che, nei tuoi anni a Bergamo, ha fatto più la differenza?
«È quello che ha creduto di più in me. Mi conosceva già dai tempi dell’Udinese e ha visto in me qualcosa di utile all’Atalanta. Gli devo tantissimo».

Ti capita di tornare a Bergamo? Sei rimasto in contatto con i vecchi compagni?
«Torno poche volte: la distanza pesa e del mio gruppo a Bergamo non c’è più nessuno, tranne Bellini, che sento ancora, così come altri ex compagni».

Il ricordo più bello in nerazzurro?
«Tanti. Il gol su punizione nel 3-1 al Napoli, con cui c’era forte rivalità: magico. E poi San Siro: feci un fallo duro e i tifosi iniziarono a cantare “Manfredini spaccagli le gambe”. In quel momento hanno riconosciuto in me il carattere tosto dei bergamaschi e sono diventato uno di loro. In campo, ogni tanto, qualche scarpata in più la davo… Ricordo anche quando a San Siro, per l’infortunio di Talamonti dopo 20’, Del Neri mi schierò centrale: fu l’inizio della mia seconda carriera a Bergamo. Da lì nasce tutto ciò che ho fatto dopo».

Sentire i tifosi chiamare il tuo nome che effetto ti ha fatto?
«Le prime due stagioni facevo il ritiro con la prima squadra, poi andavo in prestito: ero praticamente uno sconosciuto. Quando ho avuto la mia chance, l’ho sfruttata. Forse avevo anche le caratteristiche che a Bergamo piacciono: deciso, aggressivo, sempre a sudare la maglia. Il legame con i tifosi — e con la città — è stato fortissimo. E quando si presentò la possibilità di andare altrove, scelsi di restare».

Perché poi te ne sei andato? Non ti sentivi più importante per l’Atalanta?
«No, non è quello. A Bergamo il direttore generale era Pierpaolo Marino, con cui avevo avuto confronti a Udine. Durante la stagione ci furono discussioni e il rapporto difficile ha condizionato la mia scelta».

Scelta non a cuor leggero, dunque.
«Assolutamente no. L’unica cosa che mi alleggerì fu sapere che al Genoa avrei ritrovato Del Neri. Il motivo della partenza fu solo quello: in quella condizione, con lui presente, non riuscivo più a lavorare serenamente. Me ne sono andato per non creare tensioni nello spogliatoio e nella società. In silenzio, senza fare rumore — anche se un po’ se n’è fatto».

La stagione più brutta è stata il 2011/12 del calcioscommesse e del -6?
«A livello sportivo, prima dell’era Gasperini, credo sia stata l’Atalanta che ha fatto meglio. Quella situazione ci aveva compattati e resi al massimo: ne siamo usciti subito. A livello personale ho vissuto un periodo difficile, ma passato quello ho dato una mano come negli altri anni. La stagione più brutta resta il 2009/10: annata travagliata, cambi in panchina, retrocessione in B. Peccato: l’anno prima avevamo fatto bene, ma allora mancava continuità: si saliva e si scendeva. L’obiettivo era la salvezza».

Nel calcioscommesse finisti anche tu, poi prosciolto. Non hai mai voluto toglierti sassolini?
«Non è nel mio carattere. In certe situazioni è meglio tacere per non alimentare discorsi da parte di chi non conosce i fatti. Ho sempre preferito parlare sul campo. E i tempi erano diversi: niente social, tutto avveniva nello spogliatoio, senza sbandierare nulla all’esterno».

È vero che tua figlia si chiama Dea: un richiamo all’Atalanta?
«Cercavamo un nome non abbreviabile. Dea mi piaceva già di suo; il fatto che si potesse associare all’Atalanta era un valore in più, ma non determinante, anche perché mia moglie non è sportiva. Tutto combaciava, e la scelta è stata quella».

La parentesi Sassuolo (2014): che esperienza è stata?
«Tra le più negative della mia carriera. Non avevo un carattere facile e non sapevo stare zitto con allenatori e dirigenti: ho sempre detto ciò che pensavo. A Sassuolo, fin da subito, non mi trovai con Di Francesco e, complice un infortunio serio, fui praticamente fuori rosa. Non un’annata felice, e mi dispiace perché la società è ottima. Ma capita di non trovare chimica con ambiente o tecnico. Con il tempo ho capito che a volte bisogna mordersi la lingua. Ma non l’ho mai fatto».

Che idea ti sei fatto dell’Atalanta di Juric?
«Gli anni con Gasperini sono stati straordinari: oggi l’Atalanta — squadra e società — ha consapevolezza dei propri mezzi. Quest’anno forse non è scattata la chimica con l’allenatore: prendiamo meno gol, ma segnamo poco. Al momento non è più la squadra che poteva vincere contro chiunque: quella era diversa. Dopo un ciclo così lungo è normale un anno di transizione. Non è più la propositiva degli ultimi anni: spero di rivederla presto, ma non è facile. Detto questo, col Marsiglia è arrivata una vittoria enorme, che può dare forza al gruppo e all’ambiente: gara fondamentale contro un avversario difficile. Mi auguro di rivedere l’Atalanta in alto».

Da calciatore, come si esce da un periodo così?
«Dall’esterno è difficile. I ragazzi devono ritrovare serenità. A Bergamo ha sempre fatto la differenza il gruppo: forte, di lottatori. Dopo tanti successi, la mancanza di risultati pesa, così come il cambio allenatore. Riadattarsi non è semplice. Lo dico per esperienza: con Del Neri tutto fantastico; quando andò via, feci un po’ di fatica. Ogni allenatore ha metodi e idee diverse: devi riadattarti, e ci sta che accada ora con Juric — che ha qualche similitudine con Gasp, ma anche metodi suoi. Serve tempo: spero che il gruppo si ricompatti e ritrovi la forza che l’ha reso vincente».

Atalanta–Sassuolo: che partita ti aspetti?
«Il Sassuolo non è facile da affrontare: gioca bene, ha idee, è rapido in avanti e ribalta le azioni con velocità. Sulla carta l’Atalanta è favorita, ma può incidere la stanchezza, pur essendo abituati a giocare ogni tre giorni. Io tifo e credo nella vittoria della Dea».

Manfredini oggi è rimasto nel mondo del calcio?
«Alleno una squadra di Promozione della mia zona, il Lunano, nelle Marche. Mi piace, mi diverte, e mi permette di stare con la famiglia. Se diventerà un lavoro lo vedremo: ho iniziato tre anni fa senza grandi ambizioni. Nei Dilettanti ho scoperto un mondo diverso dal professionismo: i ragazzi lavorano, hanno problematiche diverse. Mi sta aiutando a crescere professionalmente. Avevo appeso le scarpette da un giorno all’altro per un infortunio: cercavo passione e divertimento, e qui li ho ritrovati».

Thomas Manfredini resta l’immagine dell’Atalanta che lottava e non mollava mai. Non uno da copertina, ma uno che in campo lasciava tutto. I tifosi vi hanno riconosciuto il carattere di Bergamo: deciso, leale, vero. Oggi allena lontano dai riflettori, ma la rotta non cambia: fedeltà ai valori, al lavoro, al gruppo. Sempre.

© foto di Daniele Buffa/Image Sport
© foto di Federico De Luca
© foto di Federico De Luca