Derby a stelle e strisce, ma a due velocità: l'Inter festeggia l'utile, noi insegniamo come si fa da dieci anni
Stasera alla New Balance Arena non scendono in campo solo due squadre, ma due filosofie. Due modi di intendere il calcio e il business che, pur parlando entrambi inglese con accento americano, non potrebbero essere più distanti. Da una parte c'è l'Atalanta dei Percassi e di Pagliuca, una macchina perfetta che corre spedita; dall'altra l'Inter di Oaktree, un gigante che sta provando a rimettersi in piedi dopo la "cura" cinese. E se guardiamo i fatti, senza il timore reverenziale che spesso accompagna le grandi piazze, la sentenza è una sola: semplicemente, l'Atalanta è avanti.
Questione di casa (e di chiavi). Il confronto più impietoso - riprendiamo quanto riferisce La Gazzetta dello Sport - non è nemmeno quello in banca, ma quello sul cemento. Noi stasera giochiamo a casa nostra, in uno stadio acquistato nel 2017 e completato nel 2024, un gioiello di proprietà che fattura emozioni e ricavi. Loro? Hanno appena firmato il rogito e puntano al 2031. Noi abbiamo le chiavi in tasca e il tetto finito, loro guardano i rendering. È la differenza tra il fare e il progettare, tra la concretezza bergamasca e la burocrazia milanese. Certo, Bergamo non avrà la pressione mediatica di Milano, e questo aiuta a lavorare con orizzonti lunghi, ma la lungimiranza non si compra al mercato.
L'utile come abitudine vs l'utile come evento. Leggere i bilanci è un esercizio che gonfia il petto. L'Inter festeggia oggi il primo utile della sua storia recente (35 milioni), un traguardo raggiunto grazie a una campagna Champions mostruosa (190 milioni di ricavi) e ai tagli chirurgici di Marotta. Bravi, per carità. Ma dalle parti di Zingonia, chiudere in attivo è la normalità da quasi un decennio. Mentre a Milano accumulavano perdite da capogiro (488 milioni nel triennio Covid), qui si costruiva un impero sostenibile.
E non pensiate che "sostenibile" significhi "povero". Anzi. L'Atalanta ha alzato l'asticella della spesa in modo vertiginoso, superando persino i nerazzurri di Milano alla voce ammortamenti (68 milioni contro 61). La nostra "fabbrica del talento" stampa soldi veri, non promesse. L'operazione Retegui, valorizzato e diventato asset fondamentale (con plusvalenze mostruose all'orizzonte), è l'emblema di un sistema che si autoalimenta.
Due Americhe a confronto. Anche la proprietà a stelle e strisce ha sapori diversi. Da noi c'è Pagliuca, entrato in punta di piedi nel 2022 lasciando la governance ai Percassi: continuità, passione, private equity mirato. Di là c'è Oaktree, un fondo specializzato in situazioni "stressate", subentrato per necessità dopo il crac Zhang. L'obiettivo è lo stesso – vincere coi conti a posto – ma il punto di partenza è opposto. Loro devono risanare, noi dobbiamo solo continuare a correre.
Stasera sarà Davide contro Golia, dicono i fatturati (546 milioni loro, 199 noi). Ma Davide, stavolta, ha lo stadio di proprietà, i conti in ordine da dieci anni e una fionda che ha saputo vincere l'Europa League. Benvenuti a Bergamo, dove il "modello" non è una parola vuota, ma uno stile di vita.
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