I dirigenti contestati, la squadra che annaspa: povera Fiorentina, serve un miracolo a S. Siro. Rischioso cacciare Pioli, l’immobilismo del club fa più paura della classifica: chi e cosa decide? La vera arma è Kean
In molti chiedono la testa dell’allenatore e allora proviamo a pensare che cosa troverebbe l’eventuale sostituto di Pioli: un direttore sportivo che pochi giorni fa ha annunciato in Tv che dovrebbe dimettersi, la contestazione contro dirigenza e società, una proprietà che pubblicamente è intervenuta l’ultima volta in voce il 14 luglio durante il Viola Carpet, un gruppo squadra che annaspa in campo dove vive sui nervi più che sul gioco, uno stadio dimezzato con nuove incertezze sui tempi della ristrutturazione. Il calcio è pieno di allenatori egocentrici, ma ci vorrebbe uno parecchio sicuro di sé per infilarsi in questo groviglio. Ricordiamoci sempre poi che Pioli ha un contratto gravoso fino a giugno 2028, non è un dettaglio considerate le spese dell’ultimo mercato.
Questo per ribadire che la situazione è grave - da qualsiasi parte la si guardi - e mercoledì sera la Fiorentina giocherà da penultima a San Siro contro l’Inter. Proviamo a essere ottimisti dopo la reazione disperata contro il Bologna e allora immaginiamoci un mezzo miracolo (meglio uno intero) per invertire una rotta che domenica stava portando contro gli scogli per il naufragio definitivo. Il panico in campo si misurava anche da fuori: ‘Dopo il 3-0 - ha ammesso De Gea - pensavamo di poter perdere 6-0’. I nervi, la Fiorentina è stata salvata da quelli. Abbiamone cura dunque, sono il segnale che una parte dell’anima è sopravvissuta anche se a volte le facce di alcuni giocatori sembrano dire il contrario.
Parleremo poi della squadra, ma prima ribadiamo il ragionamento sul ‘capitolo contestazione’ perché qui l’abbiamo affrontato spesso, cercando anche di mettere sull’avviso i naviganti: era solo questione di tempo e poi sarebbe esplosa con tutto il fragore del caso, la poca conoscenza di Firenze ha probabilmente illuso chi ha continuato a fare il proprio lavoro all’interno del Viola Park senza misurarsi con l’esterno, né avere informazioni oppure eventualmente ascoltarle. Gli 0,50 punti a partita hanno dato il via libera definitivo a un malessere che covava e in ogni caso, se vogliamo essere precisi, era già stato messo nero su bianco in due comunicati della Curva. Ignorati? Sottovalutati? Il malumore ha invaso presto altri settori del Franchi (compreso quello sotto la tribuna d’onore che ospita i dirigenti) e nella circostanza lo scambio di convenevoli non è stato granché. Pessimi segnali.
Parliamo di squadra e cerchiamo di capire in che modo la Fiorentina potrebbe fare bella figura contro l’Inter o, almeno, tornare con un risultato positivo. Pioli ha puntato sul centrocampo a tre con il doppio play (Fagioli-Nicolussi) una scelta che obiettivamente aveva portato buoni risultati contro il Rapid Vienna. Ma il calcio è fatto di categorie e l’organizzazione del Bologna ha ridimensionato ogni progresso, anche se dovremmo aver capito da tempo che è facile illudersi il giovedì nella terza coppa d’Europa e poi tornare sulla terra in campionato. Insistiamo: il quarto anno consecutivo in Conference non è sinonimo di crescita calcistica ambiziosa, ma serve principalmente a cullare il progetto di vincerla, come una specie di piano B che resta da una parte, sperando magari che il valore degli avversari si abbassi in ogni edizione (cosa che peraltro sta succedendo).
In Italia è diverso, anche senza Mkhitaryan (sostituito da Zielinski oppure Sucic) l’Inter ha un centrocampo formidabile e un attacco che entra dentro come una spada, il modo di difendere della Fiorentina lascia più di una perplessità per le transizioni a protezione che non riescono e gli errori individuali nella fase decisiva della marcatura. Perfino Pablo Mari e Pongracic sembrano abbonati alle distrazioni che fanno venire le crisi di nervi a De Gea, uno che ha giocato 545 partite nel Manchester Utd e dunque ne ha viste parecchie nella sua carriera.
Siamo onesti e ammettiamolo: la vera e più affidabile arma della Fiorentina a San Siro sarà Kean. Il suo ritorno all’isolamento del combattente puro è probabilmente alla base di alcuni malumori fra gli altri attaccanti (Dzeko li ha nascosti molto male, Piccoli non si sa ma ha giocato solo 18 minuti contro Milan e Bologna). Capiamo benissimo la scelta che Pioli ha fatto ispirandosi a Palladino: Kean gioca da solo, ma almeno gioca, smazza, sbaraglia. E fa male. Impegna costantemente i difensori, ha una rabbia dentro che sfoga negli uno contro uno, o negli uno contro tutti. Consente comunque alla Fiorentina di fare una cosa che almeno le riesce senza complicazioni, cioè lanciare lungo. Esattamente l’opposto di quello che era stato previsto la scorsa estate, quando il piano era quello di giocare con tre giocatori offensivi di movimento.
In una stagione in cui le facce dei giocatori viola raccontano molto, ma probabilmente non abbastanza, dispiace che Pioli non abbia trovato la chiave per creare quello che una squadra deve portare con sé in campo, cioè l’identità. Dopo 8 partite la Fiorentina continua a vivere di sussulti, strappi e poca organizzazione. Contro il Sigma Olomouc e il Rapid Vienna può anche bastare, vaglielo però a raccontare a Lautaro per ascoltare che cosa ne pensa. Anzi no, meglio andare lì e giocare in silenzio, cercando di migliorare la catastrofica percentuale di recupero delle seconde palle e, già che ci siamo, anche delle prime. Invochiamo nel frattempo una mossa da parte della società, o almeno un segnale, perché nonostante tutto siamo inguaribili ottimisti.






