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Milan: l’errore fatale (e la carta Rabiot). Inter: l’impatto di Chivu (e quello di Sucic). Juve: l’importanza del mercato “in casa” (e un voto a Bremer). E il Como “troppo straniero”
Siamo nel limbo. Avete presente? Quella roba a metà tra la fine del mercato, l’inizio del campionato e l’incombente pausa per la Nazionale (arriva inesorabile). Una situazione stucchevole e ben raccontata dal buon Vincenzo Italiano l’altro giorno. Val la pena riportare le sue parole: “Non so chi voglia il mercato aperto dopo le prime giornate di campionato. Per me è follia pura, non può essere. C’è gente che la mattina prima delle partite è al telefono con i procuratori, gente che vuole andare via e che non vuole fare allenamento. Non esiste. Il mercato deve essere racchiuso prima delle partite ufficiali, perché ci sono mesi e mesi per preparare le squadre. Una cosa del genere è improponibile”. Ha ragione da vendere.
Ma il dato di fatto è che siamo esattamente in quel periodo lì: pochi giorni allo “stop alle trattative” e primo turno di campionato archiviato con relative sentenze (perché sì, dalle nostre parti si sentenzia anche solo dopo 90 minuti).
Il Milan
Il problema del Milan si chiama Furlani. O meglio, la sua impostazione. E la sua cocciutaggine. E la sua impermeabilità a qualunque genere di “compromesso”. Furlani non scende a compromessi, ordina. E non deve rendere conto a nessuno, nemmeno alla proprietà che si fida ciecamente e lascia fare. Perché Furlani a vendere e a far tornare i conti è molto bravo, solo che il Milan non è lo store del Baffo da Crema, è una delle squadre più gloriose del mondo pallonaro trattata come una fabbrica di plusvalenze: si compra a 20 con la speranza di vendere a 40. E se si riesce a vendere Tizio e Caio a 40 bene, altrimenti si venderà qualche pezzo pregiato a cifra superiore. La competitività? Relativamente importante. E andrebbe benissimo se il Milan non fosse un club che ha un fruitore ultimo e teoricamente più importante di ogni cosa: i suoi tifosi.
Dei tifosi, la dirigenza reggente, al momento è interessata il giusto. E così anche di alcuni suoi freschissimi dipendenti, se è vero come è vero che Tare è già stato messo in un angolo (pochissima indipendenza) e Allegri si ritrova a dover lavorare con giocatori potenzialmente forti e che però non sono “i suoi” giocatori (e vedremo se quantomeno gli prenderanno Rabiot).
Il risultato è una squadra che a pochi giorni dalla fine del mercato non ha ancora sistemato la questione attaccante (come se fosse un dettaglio) e che, comunque, nonostante i suoi reggenti, riuscirà a fare tanti punti (ma qui ovviamente siamo ai pareri soggettivi).
L’Inter
Gran prima per l’Inter di Chivu. Non era solo una questione di punti e classifica - ovviamente importantissima - ma di impatto.
L’Inter aveva bisogno assoluto di levarsi un po’ di peso dalle spalle e lo ha fatto nella migliore maniera possibile: i “vecchi” hanno mostrato di avere enorme desiderio di riscatto, la squadra ha giocato ottimo calcio, Sucic (14+2.5 milioni) si è presentato alla grande, Bonny si è sbloccato dopo una manciata di minuti, Chivu ha dato l’impressione di avere tutto perfettamente sotto controllo, il gruppo è parso compatto.
E solo l’inizio e significa nulla, ma l’Inter ferita dal finale della passata stagione aveva bisogno di dare un segnale di questo tipo al suo popolo. E lo ha fatto alla grande.
La Juventus
La Juventus ha iniziato molto bene: bel gioco, bella unità d’intenti, buone sensazioni. Il tutto alla faccia di chi già suonava il requiem. Tudor del requiem altrui se ne fotte e prova a far rendere coloro che la scorsa stagione arrancavano assai. In più, osserva: Bremer, per dire, tornato al suo posto dopo l’infortunio e capace da subito di dare ai bianconeri tutta quella sicurezza che non avevano (se sta bene è serenamente il miglior difensore della Serie A). Ma anche David, uno che sembra sempre “estraneo” agli altri ma che ha ben chiaro quale sia la sua missione: segnare. E segna. Infine Vlahovic. Da un punto di vista economico la Juve vorrebbe giustamente liberarsene, ma da quello sportivo chi ce l’ha dovrebbe tenerselo, perché è più forte di come viene dipinto. Se resterà, Tudor – che non è fesso – lo farà giocare parecchio. E farà bene.
Il Como
C’è chi rompe le balle a Fabregas perché “Il Como ha pochi italiani”. Come se fosse un problema suo. La risposta del tecnico (riassunta in qualche modo) è lampante: “Li vorremmo prendere, ma è difficile, non ci sono”. E ha ragione. E fa bene a fare come fa, perché il Como ha un progetto chiaro, lucido, intelligente. E non è solo una questione di danaro disponibile. Quello, il danaro, è importante, ma le idee sono più importanti. Il Como l’altro giorno ha fatto quello che ha voluto contro la stessa Lazio che pochi mesi fa lo aveva annichilito. E ci è riuscito con una serie di ragazzi tra i 19 e i 22 anni guidati da Nico Paz che, sì, è fortissimo, ma funziona alla grande in un impianto che è alla sua altezza. Troppo entusiasmo dopo una sola partita? Può darsi. O forse no.
Il Napoli
Il Napoli si è trovato di fronte a un problema improvviso, l’infortunio di Lukaku. Lo ha risolto (lo sta risolvendo) in 5 minuti con Hojlund, sempre più vicino ai campioni d’Italia e con una formula assolutamente interessante (prestito con obbligo di riscatto condizionato a cifre di poco superiori ai 40 milioni). Questo fa una grande società.
Arriva la pausa per la Nazionale, portate pazienza.
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