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Un “mare bagnò Perugia” e oggi… bisogna rialzare la diga!TUTTO mercato WEB
domenica 11 giugno 2023, 18:50Editoriale
di Roberto De Frede
per Bianconeranews.it

Un “mare bagnò Perugia” e oggi… bisogna rialzare la diga!

“Anche i dolori sono, dopo lungo tempo, una gioia, per chi ricorda tutto ciò che ha passato, sopportato e superato.” (Omero)

Quanto desidererei parlare solo di calcio giocato, di gol e tattiche scacchistiche sul manto erboso! Semmai, visto il periodo, chiacchierare anche di calciomercato, quello che fa sognare di avere nella squadra del cuore il centravanti più forte del mondo, e poi ci si accontenta lo stesso anche se quel 9 non arriverà mai, perché l’importante è mettere la “palla a centro e ascoltare la soave musica del fischio d’inizio della giacchetta nera e cominciare finalmente... Cominciare a giocare a pallone, come un tempo si diceva!

E allora ci provo, ricordando di calcio, riflettendo… e sperando nel calcio, quello semplicemente emozionante, rotolante e non impantanato.

È vero, la bellezza del gioco calcio è l’incertezza, quella che fino alla fine, tiene ingabbiato in un tempo ben preciso, ma che inesorabilmente trascorre, il tifoso. Tale impareggiabile caratteristica è data probabilmente dalla stessa forma rotonda del pallone e quindi dalla sua innata imprevedibilità. Il viaggio, ovverossia la traiettoria che quella sfera, un tempo di cuoio, può intraprendere, dipende da vari fattori, quali la potenza del tiro, l’effetto che gli si dà, un soffio di vento che avvolge la palla in un preciso attimo, il taglio dell’erba verde che forma il terreno di gioco rimembrante un dolce prato inglese, e perché no, anche una pioggerellina che man mano si rafforza e che rende il manto scivoloso, adornato qua e là di qualche simpatica pozzanghera, che rende colorati i bianchi mutandoni degli eroi in campo: elementi tutti che rientrano nella normalità e naturalità di una partita di calcio e dell’essenza del calcio stesso. La “zona Cesarini” ha da sempre portato al cardiopalma lo spettatore, e spesso e volentieri, il tifoso “sportivo”, semmai non nell’immediato di una sconfitta, ma dopo un po’ di anni dalla “Caporetto”, ricorderà la disfatta con l’emozione quantomeno di averla vissuta.

Nella nostra serie A di campionati decretati all’ultima giornata ce ne sono stati tanti, anche prima dell’Anno del Signore 2000, e a deciderli erano i calciatori in campo, mettendo talento, cuore e abnegazione. A volte uno scudetto lo si può vincere (o perdere, a seconda della curva da cui lo spettatore guarda) anche per uno sbaglio dell’avversario, ma questo è anche lo sport, e l’errore, come un antico adagio ci ricorda, è umano.

Chi non ricorda la celebre “papera” di Sarti nel 1967: i nerazzurri arrivarono all'ultima giornata con un punto di vantaggio sulla Juventus, ma persero inaspettatamente a Mantova per via di un goffo errore del loro portiere. La vittoria della Juventus per due a uno contro la Lazio permise di finire in testa alla classifica, ponendo fine al ciclo della Grande Inter del mago Herrera. Un altro finale tachicardico - forse il più inaspettato e rocambolesco della storia del campionato italiano - fu il duello a tre per il titolo, tra Milan, Lazio e Juventus nel 1973, entusiasmante e aperto fino all’ultima partita: i rossoneri si presentarono con un punto di vantaggio su entrambe le inseguitrici. Il Milan andò a giocare al Bentegodi di Verona, “la fatal Verona”, contro una squadra per giunta già retrocessa, e Lazio e Juventus avevano due impegni apparentemente più duri rappresentati da Napoli e Roma. Incredibilmente i rossoneri, arrivati all'incontro molto stanchi dopo la finale di Coppa delle Coppe giocata e vinta solo quattro giorni prima contro il Leeds, subirono tre gol nella prima mezz’ora e persero la partita per cinque a tre. La Juventus batté la Roma in rimonta grazie a un gol di Cuccureddu, e superò entrambe le rivali, vista la sconfitta della Lazio contro il Napoli, vincendo il suo quindicesimo scudetto. Anche la domenica del 16 maggio 1982 fu una giornata non adatta ai deboli di cuore. Fiorentina e Juventus si giocarono il campionato affrontando, in trasferta, rispettivamente il Cagliari e il Catanzaro. Erano a 44 punti appaiate in testa alla classifica: i viola pareggiarono a Cagliari zero a zero, e i bianconeri vinsero uno a zero con un rigore calciato con freddezza dal mancino centrocampista irlandese Brady, il quale s'incaricò di batterlo con indicibile etica professionale, sapendo di essere già stato ceduto dalla società bianconera. E fu la seconda stella.

Questi scudetti furono vinti al cardiopalma ma per “cause naturali” del gioco del calcio”: una papera (errore umano), un intreccio di risultati “fatali”, e un calcio di rigore assegnato per un fallo di mano del difensore avversario sulla linea di porta.

Il ricordo va anche ad uno perso, sempre per cause “naturali”… quel 16 maggio del 1976, ultima giornata di campionato, il Torino aveva un punto di vantaggio sulla Vecchia Signora: la Juventus di Zoff, Morini, Causio e Bettega, perse 1-0 a Perugia e, annichilita dall'amarezza, prese atto d'aver mandato in frantumi un sogno realizzabile. Realizzabilissimo perché il Torino di Gigi Radice, in vantaggio di un punto, non era riuscito nell'impresa, apparentemente abbordabile di superare il Cesena: 1-1, con rete di Pulici e autogol di Mozzini. Invece un tiro di Renato Curi costrinse la Juventus a raccattare i cocci di un dramma. Ma a distanza di anni, anche il tifoso sconfitto della Juventus, si emoziona ricordando quei momenti, perché vissuti intensamente, con passione e nella massima correttezza sportiva.

Purtroppo non si può dire lo stesso per la partita del 2000, non ci si può “emozionare” ricordando lo stadio Renato Curi di Perugia di quella domenica del 14 maggio, perché quella sconfitta derivò non dalla valentia degli avversari, bensì dipese da cause non riguardanti il gioco del calcio ma attinenti all’”altrocalcio”,da eventi straordinari di forza maggiore, e non mi riferisco solo al diluvio universale caduto sull’Umbria, bensì al mare “Collinare” che bagnò Perugia!

Ecco, quello stesso mare non salato, senza vita, fangoso, lontano anni luce dall’azzurro cristallino, dalle palpitazioni di un tifoso per un cross dell’ala al centravanti, dalla trepidante incertezza per un finale di partita, dalle papere di Sarti, dal rigore di Brady e dal friulano 5 maggio 2002, oggi sta inondando non tanto l’ultima di campionato ormai bella e archiviata, bensì il presente e il futuro prossimo della Juventus. Non sarà un mare “Collinare”, ma l’odore è quello della confusione, dell’amarezza, della indeterminatezza e della beffa, siano esse provenienti dal castello di Nyon, dai palazzotti di Roma o paradosso dei paradossi direttamente dal quartier generale bianconero di via Druento ex corso Ferraris.

Quelle Juventus, sotto la proprietà dell’avvocato Gianni Agnelli, immenso deus ex machina, quasi sempre rifondate e vincenti, rinnovate, restaurate e trionfanti, e qualche volta sconfitte ma con onore pari alla gloria, avevano presidenti del calibro di Vittore Catella, Giampiero Boniperti, Vittorio Chiusano; allenatori quali Heriberto Herrera, Čestmír Vycpálek, Giovanni Trapattoni, Marcello Lippi; calciatori (e qui sarebbe un elenco lungo come quelli telefonici d’un tempo, mi perdonino le decine e decine di campioni non citati!) dai nomi leggendari di Ernesto Càstano e Luis Del Sol, di Zoff, Causio, Haller, Bettega e Anastasi, di Scirea, Tardelli, Cabrini e Brady, di Buffon e Del Piero.

Cosa hanno in comune tutti questi nomi? Appartengono a uomini che non solo masticavano calcio come Einstein la tabellina del due, ma avevano nell’anima scolpita a lettere di fuoco l’essenza della juventinità e un solo obiettivo: vincere, che è l’unica cosa che conta per quella maglietta bianconera.

La Juventus ora è in una specie di zona Cesarini, deve vincere la partita all’ultimo minuto dell’ultima giornata e svoltare. Ripartire da questa nuova inondazione tecnica-politica-amministrativa con uomini che almeno tentino di rassomigliare il più possibile a coloro che hanno fatto della leggenda il loro pane quotidiano, rialzando una diga contro ogni avversità, difendendo a spada tratta la Juventus e il calcio vero, ricordando che quando il mare bagna Perugia il calcio muore e con esso tutti i sogni.

E noi abbiamo bisogno dei sogni per vivere e del mare, quello vero, salato e appena increspato, con le piccole onde che battono sulla riva sabbiosa del signor Palomar, che è in piedi sulla riva e guarda un’onda…

Roberto De Frede