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"Giovani" a 24 anni: in Italia dobbiamo evolverci e dobbiamo farlo in fretta

"Giovani" a 24 anni: in Italia dobbiamo evolverci e dobbiamo farlo in frettaTUTTO mercato WEB
© foto di www.imagephotoagency.it
mercoledì 21 febbraio 2024, 09:30La Giovane Italia
di La Giovane Italia
Alla domanda "Ti senti una giovane promessa?" Alessio Zerbin, classe 99, ha risposto: "...a 24 anni devi essere pronto, sei a metà strada".

In una recente intervista è stato chiesto ad Alessio Zerbin, classe 1999 attualmente in prestito al Monza, se si sentisse una "giovane promessa". La risposta dell'attaccante di proprietà del Napoli ci deve far riflettere: "...no, i giovani sono Carboni e Vignato, un 2005 e un 2004. A 24 anni devi essere pronto, sei a metà strada...", un chiaro messaggio che purtroppo ancora non riesce a passare nella mentalità del nostro Paese e che ormai sta diventando un limite evidente nel confronto con le realtà calcistiche estere.

Alessio ha una storia particolare nel mondo del calcio, è la storia di un ragazzo che ha assaporato il professionismo da piccolo, crescendo nel settore giovanile dell'Inter, per poi uscire completamente dai radar delle società professionistiche. A quindici anni giocava in prima categoria e il suo futuro sembrava ben diverso; poi lavoro e sacrificio lo hanno portato ad una seconda occasione. La sua scalata parte dal basso: dopo la prima categoria passa al Gozzano, in Serie D, fa bene e viene notato dal Napoli che decide di dargli una seconda possibilità tra i professionisti. Prima Under 19 con gli azzurri, poi tre anni di serie C con Viterbese, Cesena e Pro Vercelli. La prima occasione in Serie B con il Frosinone nella stagione 21/22 ed infine il ritorno al Napoli nell'estate 2022 con cui ha totalizzato 23 presenze (di cui 3 in Champions League). Ora, a quasi 25 anni il prestito al Monza per trovare spazio e continuità.

Quasi 25 anni, perchè Zerbin è un classe 99 ma come molti colleghi è nato nei primi mesi dell'anno e tra pochi giorni spegnerà nuovamente le candeline. La riflessione sorge spontanea: com'è possibile che a 25 anni un calciatore venga considerato una "giovane promessa", o anche soltanto un "giovane"? Questa mentalità purtroppo accomuna ancora troppi protagonisti del mondo del calcio e si sta rivelando controproducente per lo sviluppo di tutto il movimento nazionale. I motivi per cui a 25 anni non si è più giovani in questo sport sono numerosi, a partire dalle competizioni giovanili: nel calcio esistono le categorie, e la più "vecchia" è rappresentata dall'Under 21, l'ultima in cui esiste un'età massima in cui possono essere schierati i calciatori per prendere parte alla competizione. Di recente stanno prendendo piede sempre di più anche le Under 23, ma non possiamo prenderle in considerazione perchè si tratta in tutto e per tutto di seconde squadre che prendono parte ai campionati di Serie C (in Italia) o Serie B (come in Spagna, Olanda, Belgio ecc.), andando quindi a competere con calciatori di tutte le età.

Il trend degli ultimi anni prevede focus sempre più approfonditi sui "giovanissimi" e sugli Over 30. La narrazione sportiva recente tende sempre di più a porre la lente d'ingrandimento sulla precocità dei giovani talenti e sulla "seconda giovinezza" degli Over 30 che mai, come in questi ultimi anni, stanno allungando l'età media dei ritiri dal mondo calcistico e dimostrando quanto si possa ancora incidere ad alti livelli, anche superata la soglia dei 30 anni, continuando ad evolversi calcisticamente senza dover per forza collegare l'anzianità sportiva con un imminente declino nelle prestazioni. Tutto questo porta una zona grigia in tutti quei calciatori che si collocano tra i 20 e i 30 anni, che ogni Paese vive e definisce in modi differenti.

La tendenza nel nostro Paese è quella di non definire un'età precisa in cui un giocatore esce dalla giovinezza, adagiandosi fin troppo su questa narrativa che vede le carriere allungarsi ed i giocatori continuare a maturare a tutte le età. Non serve sottolineare come all'estero già il compimento dei 18 anni (spesso anche prima) rappresenti uno step chiarissimo nella carriera di un calciatore, pronto ad essere collocato nel contesto professionistico più adatto e scalare le gerarchie, ma sempre in contesti professionistici, slegando completamente i ragazzi dai settori giovanili e dal limite di confrontarsi solo ed esclusivamente con i coetanei.

In Italia, purtroppo, questa mancata definizione di giovinezza è conseguenza, o forse effetto, di tante altre situazioni. Qui da noi si preferisce lasciare un ragazzo nei campionati giovanili fino quasi all'impossibilità di essere schierato per regolamento. Soltanto questo porta ad un congestionamento delle rose ed un rallentamento dello sviluppo evidenti. Le Primavere sono piene di fuori quota che di conseguenza levano spazio a giocatori più giovani, costretti a perdere stagioni intere in cui potrebbero confrontarsi con livelli più alti e crescere infinitamente di più. Tutto questo non fa bene a nessuno, se non a qualche bacheca che si arricchisce di trofei giovanili, utili esclusivamente come soprammobili.

Gli interessi degli agenti e degli stessi ragazzi che preferiscono la comfort zone dei settori giovanili piuttosto che confrontarsi con il "calcio vero", quello dei grandi. Le scelte delle società proprietarie del cartellino di valorizzare soltanto in casa i propri giovani e la mancanza di interesse di squadre minori nel "valorizzare" un giocatore di qualcun altro, arrivato in prestito, a meno di un potenziale ritorno economico legato direttamente al cartellino del ragazzo, ignorando completamente i benefici sportivi ed il valore aggiunto del calciatore in sè all'interno della rosa. La nostra mentalità purtroppo è questa, ognuno riesce a coltivare e guardare soltanto il suo orticello, senza pensare mai alle prospettive collettive, a quanto un piccolo cambiamento potrebbe rivoluzionare un sistema calcistico nazionale.

Le parole di Zerbin devono essere un monito, un avvertimento per tutti quanti: dagli addetti ai lavori fino al semplice tifoso, passando obbligatoriamente per chi si occupa di informazione, giornali e televisioni. L'Italia ha un obbligo morale, economico e sportivo di evolversi, l'obbligo di cambiare mentalità e mettersi quanto meno al pari con ciò che il calcio europeo e mondiale sta offrendo in questo momento storico. Un tempo eravamo i precursori e gli innovatori di questo sport, adesso ci ritroviamo ad inseguire continuamente il modello estero, non riuscendo a valorizzare storia e cultura calcistica che fortunatamente ci sta ancora tenendo a galla; la passione e le tradizioni hanno trainato questo movimento, ora dobbiamo necessariamente ripagare con la stessa moneta e come in tutti gli ambiti, per farlo, bisogna ripartire dai giovani.

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