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I Friedkin hanno scritto il manuale del perfetto suicidio dopo l'estate più esaltante e dispendiosa. Proprietà ai minimi storici, allenatore coi giorni contati: ora come se ne esce?
Nato a Napoli il 10/03/88, laureato in Filosofia e Politica presso l'Università Orientale di Napoli. Lavora per TMW dal 2008, è stato vicedirettore per 10 anni. Inviato al seguito della Nazionale
L'inizio della fine della stagione della Roma ha una data ben precisa: 18 settembre 2024. Dopo sole quattro giornate, dopo un successo solo sfiorato sul campo del Genoa, Dan e Ryan Friedkin si sono resi protagonisti di un esonero che ancora oggi non ha spiegazioni razionali (e anche se le avesse, comunque non verrebbero fornite).
L'allontanamento di De Rossi dalla panchina della Roma è stato l'inizio della fine non soltanto perché solo poche settimane prima gli era stato rinnovato il contratto, ma anche perché con lui questa estate erano state poste le basi di un progetto che doveva avere durata triennale e che invece non è durato nemmeno tre settimane. Una contraddizione tra le parole e i fatti talmente assurda, talmente paradossale, che non può trovare nel rapporto molto precario che in quei giorni c'era tra De Rossi e Lina Souloukou (poi a sua volta allontanata) una motivazione.
Per spiegare perché in questa stagione i Friedkin stanno scrivendo il manuale del perfetto suicidio c'è da ricostruire brevemente quanto accaduto negli ultimi mesi. Quando lo scorso gennaio la proprietà della Roma decise di esonerare il condottiero José Mourinho imboccò una strada decisamente tortuosa da cui ne uscì presto solo grazie alla decisione di puntare su Daniele De Rossi per succedere allo Special One. A un vate, a un leader, i Friedkin risposero con uno dei più grandi esempi di romanismo della storia del club. Per quanto il popolo giallorosso era legato a José, nessuno avrebbe mai potuto contestare De Rossi.
Così è stato, poi i risultati hanno fatto il resto: la Roma col nuovo allenatore s'è subito risollevata e anche quando il vento del cambiamento s'è un po' affievolito nessuno s'è nemmeno sognato di mettere in discussione la bontà del lavoro di De Rossi. Nessuno, nemmeno i Friedkin che già ad aprile annunciarono il rinnovo del suo contratto, una firma poi materialmente arrivata a giugno. De Rossi 133 giorni fa ha sottoscritto un contratto importante: tre anni a più di tre milioni a stagione.
Doveva essere l'inizio di una nuova era, è stato l'inizio della fine. Non prima però di aver imbastito una campagna acquisti che non ha precedenti nell'era Friedkin. Già, perché la Roma questa estate ha speso come non mai nel recente passato. Dopo anni di parametri zero la proprietà americana - sotto la gestione Souloukou, con Ghisolfi come nuovo direttore sportivo e soprattutto seguendo i consigli di De Rossi - ha messo in piedi una campagna acquisti che non ha eguali negli ultimi anni. A fronte dei circa 30 milioni di euro incassati ne sono usciti più di cento per queste operazioni (le principali, ndr).
Artem Dovbyk acquistato dal Girona per 30.5 milioni di euro
Matias Soulè acquistato dalla Juventus per 25.6 milioni di euro
Enzo Le Fée acquistato dal Rennes per 23.00 milioni di euro
Manu Kone acquistato in prestito con diritto di riscatto dal 'Gladbach per 17 milioni di euro
Angelino riscattato dal Lipsia per 5.2 milioni di euro
Samuel Dahl acquistato dal Djurgarden per 4.3 milioni di euro
Saud Abdulhamid acquistato dall'Al Hilal per 2.5 milioni di euro
Mats Hummels ingaggiato da svincolato
Mario Hermoso ingaggiato da svincolato
Dopo un rinnovo per tre stagioni, dopo una campagna acquisti del genere, era ragionevole pensare che i Friedkin avrebbero dato del tempo a De Rossi per costruire il nuovo gruppo, per instradare la nuova squadra. E invece no. Quello di De Rossi è stato il primo esonero della Serie A 2024/25, arrivato su spinta della Souloukou e poi ben accolto dai Friedkin. Una scelta scellerata.
In questo scenario è stato inserito Ivan Juric, la cui unica colpa è stata quella di farsi ingolosire dall'importanza della piazza. Senza il carisma e la bacheca di José Mourinho, senza il romanismo di Daniele De Rossi, il tecnico croato fin dal primo giorno è stato un dead man walking. Messo lì per fare il possibile, soprattutto da parafulmine. Gettato in panchina e davanti alle telecamere per accollarsi colpe che non sono sue.
Juric da quando è arrivato non solo non è riuscito a imboccare la strada per "Puntare ai trofei" (cit.), ma come prevedibile non ha nemmeno migliorato la situazione di una Roma che dopo undici giornate ha già abdicato a qualsivoglia sogno Scudetto e difficilmente finirà tra le prime quattro. Non solo: il cammino in Europa League dice oggi quattro punti in tre gare e la situazione ambientale è più complicata che mai. Un clima di contestazione che nulla ha a che vedere con i pienoni che regolarmente l'Olimpico registrava con Mourinho prima e De Rossi poi.
Juric a questo punto ha già i giorni contati: ragionevolmente durerà alla guida della Roma altre due partite, poi anche per lui arriverà il momento dei saluti. E' altamente probabile che durante la sosta i Friedkin si renderanno protagonisti di un altro cambio di allenatore: il terzo del 2024, il secondo in poco più di due mesi. Se servirà a qualcosa lo dirà il tempo, ma oggi le sensazioni sono negative. La strada imboccata è senza via d'uscita: non sembra esserci spazio nemmeno per un miracolo.
L'allontanamento di De Rossi dalla panchina della Roma è stato l'inizio della fine non soltanto perché solo poche settimane prima gli era stato rinnovato il contratto, ma anche perché con lui questa estate erano state poste le basi di un progetto che doveva avere durata triennale e che invece non è durato nemmeno tre settimane. Una contraddizione tra le parole e i fatti talmente assurda, talmente paradossale, che non può trovare nel rapporto molto precario che in quei giorni c'era tra De Rossi e Lina Souloukou (poi a sua volta allontanata) una motivazione.
Per spiegare perché in questa stagione i Friedkin stanno scrivendo il manuale del perfetto suicidio c'è da ricostruire brevemente quanto accaduto negli ultimi mesi. Quando lo scorso gennaio la proprietà della Roma decise di esonerare il condottiero José Mourinho imboccò una strada decisamente tortuosa da cui ne uscì presto solo grazie alla decisione di puntare su Daniele De Rossi per succedere allo Special One. A un vate, a un leader, i Friedkin risposero con uno dei più grandi esempi di romanismo della storia del club. Per quanto il popolo giallorosso era legato a José, nessuno avrebbe mai potuto contestare De Rossi.
Così è stato, poi i risultati hanno fatto il resto: la Roma col nuovo allenatore s'è subito risollevata e anche quando il vento del cambiamento s'è un po' affievolito nessuno s'è nemmeno sognato di mettere in discussione la bontà del lavoro di De Rossi. Nessuno, nemmeno i Friedkin che già ad aprile annunciarono il rinnovo del suo contratto, una firma poi materialmente arrivata a giugno. De Rossi 133 giorni fa ha sottoscritto un contratto importante: tre anni a più di tre milioni a stagione.
Doveva essere l'inizio di una nuova era, è stato l'inizio della fine. Non prima però di aver imbastito una campagna acquisti che non ha precedenti nell'era Friedkin. Già, perché la Roma questa estate ha speso come non mai nel recente passato. Dopo anni di parametri zero la proprietà americana - sotto la gestione Souloukou, con Ghisolfi come nuovo direttore sportivo e soprattutto seguendo i consigli di De Rossi - ha messo in piedi una campagna acquisti che non ha eguali negli ultimi anni. A fronte dei circa 30 milioni di euro incassati ne sono usciti più di cento per queste operazioni (le principali, ndr).
Artem Dovbyk acquistato dal Girona per 30.5 milioni di euro
Matias Soulè acquistato dalla Juventus per 25.6 milioni di euro
Enzo Le Fée acquistato dal Rennes per 23.00 milioni di euro
Manu Kone acquistato in prestito con diritto di riscatto dal 'Gladbach per 17 milioni di euro
Angelino riscattato dal Lipsia per 5.2 milioni di euro
Samuel Dahl acquistato dal Djurgarden per 4.3 milioni di euro
Saud Abdulhamid acquistato dall'Al Hilal per 2.5 milioni di euro
Mats Hummels ingaggiato da svincolato
Mario Hermoso ingaggiato da svincolato
Dopo un rinnovo per tre stagioni, dopo una campagna acquisti del genere, era ragionevole pensare che i Friedkin avrebbero dato del tempo a De Rossi per costruire il nuovo gruppo, per instradare la nuova squadra. E invece no. Quello di De Rossi è stato il primo esonero della Serie A 2024/25, arrivato su spinta della Souloukou e poi ben accolto dai Friedkin. Una scelta scellerata.
In questo scenario è stato inserito Ivan Juric, la cui unica colpa è stata quella di farsi ingolosire dall'importanza della piazza. Senza il carisma e la bacheca di José Mourinho, senza il romanismo di Daniele De Rossi, il tecnico croato fin dal primo giorno è stato un dead man walking. Messo lì per fare il possibile, soprattutto da parafulmine. Gettato in panchina e davanti alle telecamere per accollarsi colpe che non sono sue.
Juric da quando è arrivato non solo non è riuscito a imboccare la strada per "Puntare ai trofei" (cit.), ma come prevedibile non ha nemmeno migliorato la situazione di una Roma che dopo undici giornate ha già abdicato a qualsivoglia sogno Scudetto e difficilmente finirà tra le prime quattro. Non solo: il cammino in Europa League dice oggi quattro punti in tre gare e la situazione ambientale è più complicata che mai. Un clima di contestazione che nulla ha a che vedere con i pienoni che regolarmente l'Olimpico registrava con Mourinho prima e De Rossi poi.
Juric a questo punto ha già i giorni contati: ragionevolmente durerà alla guida della Roma altre due partite, poi anche per lui arriverà il momento dei saluti. E' altamente probabile che durante la sosta i Friedkin si renderanno protagonisti di un altro cambio di allenatore: il terzo del 2024, il secondo in poco più di due mesi. Se servirà a qualcosa lo dirà il tempo, ma oggi le sensazioni sono negative. La strada imboccata è senza via d'uscita: non sembra esserci spazio nemmeno per un miracolo.
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