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Sacchi, che attacco alla Juve! "Chi vuole vincere a tutti i costi rinnega i valori della vita"

Sacchi, che attacco alla Juve! "Chi vuole vincere a tutti i costi rinnega i valori della vita"TUTTO mercato WEB
martedì 10 novembre 2020, 15:36Serie A
di Michele Pavese

Arrigo Sacchi si è raccontato in una lunga intervista a Eurosport Francia. Dal passato all'attualità, sono tanti i temi affrontati dal grande ex tecnico del Milan che rivoluzionò il calcio alla fine degli anni '80. Il calcio offensivo e propositivo è stato sempre il suo marchio di fabbrica, e in Serie A oggi molte squadre stanno seguendo i suoi insegnamenti, come dimostrano i tanti gol realizzati negli ultimi mesi: "Prima di tutto, vorrei dire che ne sono molto felice. Il nostro modo di vedere il calcio è il riflesso della storia e della società di un Paese. In Italia, purtroppo, è dai tempi dei romani che non attacchiamo. Ogni tanto ci abbiamo anche provato, ma invano. Abbiamo praticato un calcio prudente, difensivo e tattico. La nostra forza è stata la tattica, più che la strategia: ci hanno detto che era sufficiente per vincere. Ad esempio, un club come la Juventus ripete sempre che vincere è l'unica cosa che conta. Volendo vincere a tutti i costi, rinnega tutti i valori della vita. Questo non ha permesso, in parte, al nostro calcio di evolversi. Io parlo di merito, di bellezza, di emozione, spettacolo e armonia. L’ottimismo non è vivere nel passato, ma nel futuro".

Evoluzione e rivoluzione: "Penso che nel tempo abbiamo imparato ad acquisire più cultura. Più in generale, attualmente viviamo in un mondo che non sarà mai più lo stesso. È una rivoluzione, non un'evoluzione. Rimango convinto del legame forte che esiste tra calcio, cultura e vita. I padri fondatori del gioco hanno pensato a uno sport di squadra e offensivo. In Italia il calcio aveva perso questa immagine. Si era trasformato in uno sport difensivo e individuale e il catenaccio non è uno stile. Poi può essere che anche l'opinione pubblica italiana abbia progredito nel suo pensiero. Prima si viveva ancora in epoca preistorica. Allo stadio, spesso e volentieri, ti cantavano: 'Devi morire'. Era la ripetizione di una cosa che potevi sentire 2000 anni fa dentro le arene. Simboleggiava un’evoluzione ancora da fare".

Conta la testa, non la tecnica: "Io non ho mai guardato i piedi dei miei giocatori. Ho guardato il loro spirito, la loro disponibilità, la loro modestia, la loro intelligenza e il loro entusiasmo. Non volevo giocatori con valori contrari a uno sport di squadra, come l'eccesso di individualismo, la gelosia o anche l'avidità. Penso che anche il mondo si stia muovendo in quella direzione. Oggi, il pubblico va allo stadio e può giudicare una vittoria. Se è inutile, rimarrà nei libri ma mai nei cuori e nelle menti delle persone".

Lo spettacolo dell'Atalanta: "La partita contro l'Ajax è stata fantastica. Dovrebbe essere mostrata a tutti i bambini nelle scuole di calcio. Lo spettacolo è dove c'è intrattenimento, e poi puoi anche perdere se l'altra squadra è migliore della tua. Vedo altre squadre, anche piccole, che cercano di giocare a palla. Penso in particolare al Crotone, all'Hellas Verona o allo Spezia. È la rivoluzione delle piccole squadre. Sai perché sono arrivato al Milan in quel momento? Avevo un presidente (Silvio Berlusconi, ndr) che si allontanava dalla classica identità di voler vincere a tutti i costi. Berlusconi aveva grandezza. Mi ha detto: 'Dobbiamo diventare la squadra più grande del mondo'. Ho risposto: 'Questo traguardo può essere limitante e restrittivo'. Lui non capiva. Avevamo una sola possibilità: diventare la più grande squadra di tutti i tempi. Quando UEFA, World Soccer, France Football e SoFoot hanno eletto il Milan come la più grande squadra di tutti i tempi, ho preso il telefono e ho chiamato Berlusconi. Gli ho detto: 'Hai capito perché ti ho detto limitante?".

Le critiche al PSG: "Non guardo molto il PSG perché non mi piace. Ho visto 30 minuti di partita contro l’Istanbul Basaksehir, e ho cambiato. È una squadra che non si basa su armonia e bellezza. È una squadra che fa affidamento su individualità e forza economica. È un gruppo, non una squadra. Una squadra è quando 11 giocatori riescono a interiorizzare le cose. Va oltre la tattica e la tecnica. Questo è quando le risposte diventano automatiche, dall'allenamento fino all'incontro. Non vedo molti automatismi al PSG. L'Atalanta ha fatto un vero capolavoro la scorsa stagione nei quarti di finale di Champions League contro il PSG. Un giocatore dei francesi costa più di tutta l'Atalanta".

Stile di vita: "Un allenatore convinto continuerà per la sua strada. L'Atalanta giocava già così, così come il Napoli di Sarri. A volte vedo i difensori criticati per una mancanza di attenzione. Ma attacchiamo e difendiamo in undici. Il grande Milan, l'Ajax e il Barcellona di Guardiola sono state l'esaltazione del collettivo. Tutti i giocatori sono stati versatili e hanno svolto entrambe le fasi, tutti legati da un filo conduttore comune e invisibile che è il gioco, che fa la differenza. Il nostro dogma era: vincere, divertire e convincere. Giulio Cesare conquistò la Gallia con 50.000 uomini contro 300.000 e tutto grazie a una strategia di squadra perfetta. Il calcio è sempre stato intelligenza collettiva".

Nessun rimpianto: "Ho dato la mia vita al calcio, e il calcio me l'ha restituita con emozioni indescrivibili. Sono una persona felice e non ho rimpianti. Il secondo posto ai Mondiali del 1994? Il Brasile stava giocando meglio e meritava di vincere. Io ho sempre voluto vincere in base al merito: per me è sempre stato un valore".

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