
"L'esperienza al Milan, l'importanza della comunicazione e Doué": Vieira a 360° sui giovani
Proseguono gli incontri alla Badia di Sant'Andrea a Genova a margine della presentazione dei 25 finalisti dell’European Golden Boy 2025 e delle 10 finaliste della European Golden Girl 2025. A salire sul palco a fare gli onori di casa questa volta c'è il tecnico del Genoa Patrick Vieira:
Come si distingue un ragazzo di talento?
"E' sempre difficile parlare di talento. C'è il talento fisico, tattico e mentale. Quando ero al City, il primo aspetto era il comportamento mentale del ragazzo in campo. Se era uno che aiutava la squadra, come si comportava quando non arrivava il pallone, quando un compagno perdeva la palla. Poi prendevo la decisione. Se l'aspetto mentale non c'è, è difficile fare crescere altri aspetti".
La struttura della Badia di Sant'Andrea è importante per i giovani?
"E' importante per un giovane capire che faccia parte di un progetto. Con quello che ha fatto la società, con la Badia, porta fiducia nei giovani così come far giocare in prima squadra Ekhator, Venturino, Fini è importante. Dobbiamo creare questo spazio per questi giovani di avere tempo di giocare con la prima squadra. Mandiamo un messaggio anche ai giovani che sono nell'Academy".
Come funziona?
"In un modo molto semplice. Io sono arrivato da poco e conosco poco i giovani e, come questa settimana che c'era la pausa per le Nazionale, parlo con gli allenatori. Gli chiedo, per esempio: 'Mi serve un difensore centrale'. E loro mi mandano il più meritevole".
Quanto è importante la tua esperienza da giocatore per i giovani?
"La mia esperienza è importantissima. Ho avuto la fortuna di giocare in prima squadra a 17 anni ed essere capitano a 19. Io posso anticipare una loro domanda. Quando li vedo che manca loro un po' di fiducia, è importante andare da loro e comunicare. E la mia esperienza mi aiuta a gestire meglio i giovani che sono in prima squadra".
E' stato duro al Milan?
"Non è stata dura. Sull'aspetto della crescita è stato ciò che mi ha aiutato a fare carriera per 15 anni. Ho avuto la fortuna di avere Capello come allenatore e quando sono arrivati al Milan è stato come un bambino che entra in un negozio di dolci. Ho avuto la fortuna di stare vicino a Baresi, Desailly, Costacurta e vedere loro come si comportavano in campo e fuori dal campo mi ha aiutato a fare carriera per 15 anni. Pensiamo sempre che le esperienze sono negative. Ma dobbiamo vedere anche l'altra versione. E' importante, quando siamo giovani, guardare, ascoltare e capire che carriera vogliamo fare. E io volevo fare la carriera di Desailly o Baresi".
In Italia si dice che non sia un paese per giovani.
"In Italia c'è questo 'freno' di far giocare i giovani perché si pensa alla partita. Noi invece dobbiamo pensare a lungo termine. Non si deve perdere questa fiducia nei giovani e ogni tanto prendiamo queste decisioni troppo presto".
Il dialogo con i giovani.
"Adesso un giovane quando non gioca va dall'allenatore a chiedere il perché. Io non lo facevo con Capello. Ma è la società che cambia. Noi ora dobbiamo trovare il modo di comunicare con loro e dare loro fiducia perché è importante capire".
In questo momento in Serie A chi sono i giovani che ti hanno colpito di più?
"E' sempre difficile fare nomi. Ci sono tantissimi giovani in Italia. E' importante, parlo per noi come club, di dare loro spazio perché questi giovani aspettano di essere in campo e far vedere il loro talento".
I giovani hanno pazienza?
"E' importante avere un dialogo con loro. Noi abbiamo questi tre, quattro giovani che hanno un grande atteggiamento e vengono a chiedere. La comunicazione è importante".
Il giovane Patrick Vieira cosa ha imparato dagli allenatori che ha avuto?
"Il sacrificarsi. Se io volevo fare carriera per 15 anni c'è un comportamento da tenere fuori dal campo, ci sono delle scelte da fare per arrivare al massimo delle potenzialità. Da Capello a Wenger mi hanno fatto prendere delle responsabilità e mi ha fatto capire le mancanze che avevo e il lavoro che dovevo fare. Per questo gli allenatori hanno grande responsabilità per la crescita dei giocatori".
L'approccio di un club inglese come il City nei confronti dei giovani?
"Mi ricordo che al City ero allenatore dell'Under 23 e nei giovani c'era Foden. All'epoca fisicamente non era pronto per giocare con la mia squadra. Il Manchester City è sempre stato paziente e ci siamo presi il tempo di crescere. Lui è rimasto nell'U16, nell'U18 prima di approdare nella mia squadra. Quello che per me è un segno importantissimo. Presto prendiamo decisioni perché un giocatore è troppo piccolo, per esempio, e questo è sbagliato. Al City hanno visto il talento e lo hanno fatto crescere".
Come è nata l'idea di diventare allenatore?
"Ho avuto la fortuna di finire la carriera al posto giusto: al Manchester City. Prima ho fatto l'ambasciatore del club e poi ho voluto fare l'allenatore. Mi è piaciuto comunicare con i giovani e parlare con loro della mia esperienza".
I tecnici del settore giovanile?
"Credo che gli allenatori di un settore giovanile siamo i più importanti. Il modo di lavorare rispetto alla prima squadra è diverso. La cosa più importante non è vincere una partita ma far crescere i giovani e devono prendersi più rischi e prendersi delle sfide con questi ragazzi facendoli giocare in qualche leva superiore".
Come funziona uno spogliatoio di una big?
"E' difficile per un giovane trovare spazio ma la cosa più improntante per loro è trovare tempo per giocare. Al Milan avevo 20 anni ed era difficile, ma il mio obiettivo era fare il Mondiale 1998 con la Francia e per questo sono andato via. Per questi ragazzi il prossimo step è giocare ogni domenica. Prestiti o seconde squadre? Devi trovare il modo e una squadra dove poter giocare di più. E per crescere una soluzione è il prestito o la cessione".
Il modello spagnolo?
"Credo che la Spagna sia l'esempio che parla di più. Quando vediamo i giocatori più forti del mondo sono cresciuti in Spagna. In Nazionale ci sono tantissimi talenti. La Spagna è l'esempio di come far crescere i giovani. Anche se il modo di giocare è diverso a quello italiano o francese, stanno facendo qualcosa di bello. Non hanno bisogno di far giocare calciatori di 1,95 m. E la cosa più positiva che i giovani sono molto vicini alla prima squadra".
Il più forte giovane oltre a Yamal?
"Il più forte in questo momento il più forte è francese. Desiré Doué è il più forte che c'è in Europa. Non solo i gol in finale di Champions ma a Rennes è cresciuto parecchio e sta proseguendo al PSG. Ha avuto un momento difficile ma ha lavorato e non ha mai mollato".
Il giocatore che ti ha colpito più in allenamento?
"Troppo facile per me dire Zidane. Ma quello che mi ha colpito di più è Berkgamp all'Arsenal".
E in allenamento?
"Tanti, però quello che ha fatto una carriera eccezionale è Lilian Thuram. Mentalmente era il più forte che ho conosciuto. Non mollava mai".
I due figli di Thuram sono entrambi in Serie A: è questione di DNA o di educazione?
"Di educazione. Marcus e Khephren sono due ragazzi bravissimi, sono due che quando sono in campo lavorano bene. E quando c'è talento, intelligenza e umiltà si fa carriera".
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