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Juve: il lavoro di Spalletti. Milan: la masterclass di Allegri e la regola del 4. Inter: le chiacchiere su Lautaro, l’impronta di Chivu. Fiorentina: i milioni di Pioli, i modi di Ranieri. Napoli: la strategia di Conte. E tre cose sul ComoTUTTO mercato WEB
Oggi alle 00:00Editoriale
di Fabrizio Biasin

Juve: il lavoro di Spalletti. Milan: la masterclass di Allegri e la regola del 4. Inter: le chiacchiere su Lautaro, l’impronta di Chivu. Fiorentina: i milioni di Pioli, i modi di Ranieri. Napoli: la strategia di Conte. E tre cose sul Como

Altro giro, altra corsa, altri casini. Pure sulla questione “stagisti-tifosi” (ne parliamo in fondo). Ma, soprattutto, domina il gran campionato italiano, quello dei bomber scomparsi e della grande ammucchiata in cima alla classifica. E partiamo dal Milan, signore e signori. In Milan-Roma 1-0 abbiamo assistito a un piccolo capolavoro firmato Massimiliano Allegri, bravissimo a trasmettere alla squadra la sua capacità di “capire” le partite: ha sofferto all’inizio, ha colpito sui rari difetti dei giallorossi, ha alzato il ritmo a inizio secondo tempo, ha tamponato all’occorrenza e, sul rigore, ha avuto anche una giusta dose di buona sorte, da sempre prerogativa dei grandi. In tutto questo lo avete mai sentito frignare per questa o quella assenza? Mai. Ecco, anche questa è una prerogativa dei grandi. Insistiamo: il Milan ha tante possibilità di stare lassù e combattere fino in fondo e questo anche grazie alle “regola del 4”: negli ultimi 19 campionati ben 15 volte i campioni d’Italia hanno perso al massimo 4 partite (in realtà in 18 su 19, per tre volte la quinta sconfitta è arrivata a trionfo acquisito) e i rossoneri – a differenza delle loro competitor e nonostante un calendario affatto semplice – hanno fin qui perso una sola volta. A buon intenditor… Ieri ha parlato Chivu che può piacere o non piacere ma regala sempre conferenze ricche di contenuti. E quindi l’invito a sorridere a Lautaro ma, soprattutto, questa frase qua: “Come fa un allenatore a dare equilibrio ai suoi giocatori? La prima regola è saper perdere. Bisogna saper perdere, perché se non sai perdere non sai neanche vincere. La perfezione non esiste, la tempesta arriva sempre e bisogna imparare a stare in piedi”. E qualcuno parlerà di frasi trite e ritrite, ma il dato di fatto è che fin qui il tecnico nerazzurro ha dimostrato anche una certa coerenza: non si è esaltato nelle vittorie, non ha sbracato nelle sconfitte e – per intenderci – è il primo a sapere che se mai a Verona la Dea bendatissima non avesse guardato giù ora di lui direbbero peste e corna, altroché osanna e carezze. È il mondo del calcio, giudica in base a come tira il vento e all’ultimo risultato. La cosa buona è che Chivu lo sa perfettamente e difficilmente si farà fottere. A proposito di “Lautaro in crisi”. L’idea che si possa definire “in crisi” un attaccante per 2 o 3 partite senza gol spiega benissimo il concetto espresso qu sopra (“giudizi in base a come tira il vento”): ogni anno Lautaro viene preso di mira in quelle due o tre fasi della stagione in cui fisiologicamente rallenta un po’, ogni anno rispedisce le critiche al mittente a suon di prestazioni. Il fatto che, nonostante tutto, i critici attendano sempre la prima occasione buona per rompergli le balle francamente non sorprende più e, al massimo, annoia un po’. Una cosa sulla Roma sconfitta a San Siro. Meglio prendersi i complimenti o meglio portare a casa i punti? Meglio i punti, ovviamente. Ma in assenza di quelli il Gasp accetti la melassa: la sua squadra, paradossalmente, ha giocato le migliori partite proprio contro le due milanesi (sicuramente degli ottimi spezzoni delle suddette) e si è dovuta arrendere di fronte alla “stitichezza” delle sue punte. Questo non consolerà nessun tifoso giallorosso, ma dice due cose: 1) La squadra è sul pezzo e se la gioca alla pari con le pretendenti allo scudetto. Non è poco. 2) Il mercato di gennaio dovrà giocoforza portare rinforzi là davanti: è l’unico modo per pensare di acchiappare uno dei 4 posti validi per la prossima Champions. Della Fiorentina non c’è molto da dire se non che una situazione del genere non era francamente pronosticabile neppure dal più illuminato degli analisti. Solo un paio di osservazioni: molti dicono “Pioli avrebbe dovuto rinunciare all’ingaggio”. Rispetto al “beau geste” che nel mondo del calcio hanno fatto pochi illuminati (Gattuso sicuramente), mi limito a riportare il celebre detto: son tutti filantropi col portafoglio degli altri. E ancora, Luca Ranieri: che in campo non abbia un atteggiamento da Sorbona e Cambridge è un dato di fatto, che sia il capitano della squadra e in qualche modo debba tenere il fuoco acceso… è altrettanto vero. Nel caso di Fiorentina-Lecce, tra l’altro, siamo dell’idea che il rigore nel finale fosse legittimo e che una volta tolto dal var (ma sui contatti non faceva fede la decisione dell’arbitro di campo?) abbia perso le staffe come le avrebbe perse il 90% di coloro che, invece, lo hanno attaccato al grido di “brutto e cattivo!”. E veniamo alle due reduci di Champions. E quindi il Napoli. Partita a parte (scialbo 0-0) torniamo per forza di cose sulle parole del tecnico dell’altro giorno. Come sempre ci si divide tra chi ama il suo modo di comunicare e chi lo ritiene eccessivo. Credo che le due cose possano tranquillamente andare insieme. Conte alza i toni perché storicamente sa che “cercare nemici” anche al costo di inventarseli è un buon modo per alzare il livello di competitività. E per questo motivo fa benissimo a proseguire per la sua strada. Poi è altrettanto vero che certe dichiarazioni risultano irricevibili, tendenziose e anche molto poco coerenti. Soprattutto, il tecnico campione d’Italia continua a fare intendere che Napoli debba dimostrarsi alla sua altezza e non si accorge (o fa finta di non accorgersi) che ora tocca a lui essere all’altezza di un club ambizioso e ben organizzato come quello di De Laurentiis: non esiste grande squadra – e il Napoli lo è - che possa trattare l’Europa come un fastidio, figuriamoci poi se l’Europa è quella milionaria della Champions. E la Juve di Spallettone. È lì da pochissimo, l’ex ct, e quindi inutile sbilanciarsi. La sensazione è che al netto delle questioni tattiche abbia inizialmente voluto lavorare sulla psicologia, esattamente quello che non gli era riuscito in azzurro. E quindi carezze a Locatelli, a Koopmeiners, a Vlahovic e un po’ a tutti quanti. Il problema è il tempo, quello scarseggia soprattutto in Champions. Il pari con lo Sporting significa non poter più sbagliare, ma Spalletti è abituato a certe pressioni e resta la miglior cosa che potesse capitare ai bianconeri in questo momento (che è ben più di un momento) di incertezza gestionale. Infine, una considerazione sulla questione “stagisti che esultano” ma, soprattutto, sulla questione “giornalisti tifosi”. Conosciamo il presupposto dei più: “Il bravo giornalista è tenuto a mantenere doveroso distacco e a nascondere la sua passione” e a questo rispondiamo. 1) I due ragazzotti non sapevano di essere ripresi, altrimenti avrebbero festeggiato in silenzio. 2) È capitato un milione di volte di pescare professionisti integerrimi impegnati a esultare o imprecare per una vittoria o sconfitta, ma certe mannaie - guarda un po’ - calano solo sugli ultimi della scala sociale. 3) La retorica del giornalista non-tifoso è stucchevole e intrisa di ipocrisia. Tutti hanno la loro squadra prediletta, anche e soprattutto quelli che si professano “totalmente indipendenti”. E, allora, meglio un giornalista che ammette la sua fede e si relaziona senza avere segreti e barriere o quello che “Io non tifo per nessuno, al limite per la squadra del mio Paese” ma poi alla prima occasione fa partire la ola in salotto? Una tirata di orecchie ai due malcapitati è certamente doverosa, la sentenza di condanna voluta dai più per tre secondi di pura gioia, invece, certifica una delle enormi distorsioni dei nostri giorni: ce ne fottiamo delle cose importanti, diventiamo intransigenti per quelle che fanno il solletico. Finalino sul Como. Tre cose. 1) La squadra di Fabregas ha solo un limite legato alla scarsa esperienza dei suoi ragazzi, ma per il resto può davvero puntare in alto. 2) Per qualcuno la squadra è diventata “cattiva”. E questa per i sostenitori dei lariani non può che essere una bella notizia. 3) Caqueret è fortissimo.