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TMW RADIO - Cioffi: "Zaniolo aveva le giocate da strada, quelle che non insegni"

TMW RADIO - Cioffi: "Zaniolo aveva le giocate da strada, quelle che non insegni"TUTTO mercato WEB
© foto di Daniele Buffa/Image Sport
mercoledì 10 novembre 2021, 18:27Serie A
di Aleandro Laudadio
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L'allenatore Matteo Cioffi, coordinatore del settore giovanile del Sarajevo, ha parlato in un lungo intervento a Stadio Aperto, trasmissione pomeridiana di TMW Radio. L'intervista inizia dal suo attuale incarico: "Ho sempre avuto la passione di allenare, mi piaceva giocare, confrontarmi con Gabriele, gli amici, tra cui Cristiano Giuntoli. Ho iniziato il corso a 32 anni, volevo imparare, cominciai a bussare alle porte di Empoli e Fiorentina, sono rimasto a Firenze nove anni. È nato tutto così".

Com'è nata la parte psicologica del suo iter professionale?
"Quando giocavo, facevo inizialmente scienze motorie, ebbi un grave infortunio al ginocchio che mi segnò. Non mi chiamò nessuno, persi il contratto. Il calcio era una passione, non ne potevo fare a meno, mi iscrissi a psicologia, concludendo il percorso con l'iscrizione all'albo. Giocando, le dinamiche di gruppo sono state una sorta di stage".

Qual è il più grande errore che si può commettere quando si parla dei rapporti interni a uno spogliatoio?
"Una volta un mental coach non toccò la sfera motivazionale, ma innescò una dinamica di gruppo, di unione, di cui lui era l'agente esterno. Gli errori più frequenti sono i luoghi comuni sulla motivazione, la mentalità vincente creata con un positivismo che non ha senso".

Allegri ha ingaggiato uno psicologo dopo la sconfitta col Verona. In che modo questa figura può aiutare?
"È il professor Vercelli. Ci sono varie sfere su cui si può lavorare: internamente allo staff, sul rapporto dell'autoconvinzione, delle dinamiche di gruppo della squadra. Ci sono varie componenti che si possono analizzare per poi andare ad intervenire. Non c'è una ricetta precisa, va analizzato e capito il contesto, come quando un allenatore prende una squadra".

È ancora una figura insolita
"All'estero è molto diffusa. In Italia è ancora molto associata alla patologia, c'è una colpa culturale, ma anche di noi psicologi che siamo un po' distaccati dal mondo del campo. Si vendono di più i mental coach".

Dovrebbe essere una competenza degli allenatori?
"Sono poche le realtà che lavorano su questi aspetti, che sono fondamentali. La conoscenza dello sviluppo dei ragazzi, l'entrare in relazione con loro, è spesso fatto per forma o norma. In poche realtà c'è la figura dello psicologo e una formazione vera degli allenatori in questo senso".

Qual è il lato più recettivo di un calciatore?
"Con i giovani lavoriamo in ambito professionistico, lavoriamo con i sogni dei ragazzi. Vanno posti degli obiettivi maggiori, lavorare per raggiungerli, stimolare i ragazzi, aumentare la loro autostima. Ogni persona è a sé stante. Si lavora anche su aspetti che possono essere dei limii: si sente parlare spesso di ansia da prestazione. Non c'è una risposta assoluta, univoca".

Come identifica la sterzata nella carriera di Zaniolo?
"Non è semplice a diciott'anni dire sì o no. Se non avesse avuto questa porta in faccia dalla Fiorentina, e questo fu un nodo grosso da affrontare per lui, non avrebbe trovato grandi difficoltà di crescita; l'ha avuta superando queste difficoltà, mi ero innamorato di lui negli allievi nazionali. Lui cominciò a non giocare anche ad Entella, poi ha trovato lì una realtà che lo ha valorizzato, per poi proseguire il percorso di crescita con Vecchi nella primavera dell'Inter. Quando un ragazzo a diciott'anni ti dice "vado lì a giocare" è follia sana. Zaniolo aveva le giocate da strada che non insegni, che nascono in un contesto destrutturato".

Quanto è cambiato oggi quel ragazzo?
"Lo vivo meno ora, è cambiato il mondo, è cambiato lui. Prima era un ragazzo, ora è un personaggio. È stato un percorso anomalo il suo. È un ragazzo di vent'anni, con tutte le problematiche di un ragazzo di vent'anni, quando si rischia di perdere il contatto con la realtà. I due infortuni lo hanno fatto crescere come uomo, il dolore porta a un'inevitabile crescita. Ora è un professionista migliore".

Perché è importante per un gruppo avere un nemico comune?
"È una tecnica, l'utilizzo del falso nemico serve a compattare il gruppo e a motivarlo. Comporta un esaurimento forte a livello emotivo, alla lunga logora. L'allenatore può prendersi responsabilità per togliere peso ai giocatori".

È la tattica usata da Allegri nel post Conte?
"Il lavoro di entrare e subentrare a quello che è stato Conte per la Juve è stato straordinario, nel far rifiorire nei giocatori energie che hanno portato al raggiungimento di obiettivi straordinari".

Oggi quale potrebbe essere la sua difficoltà?
"Avere dei campioni come Ronaldo ha spostato tanto nella costruzione e nello sviluppo della squadra. Ronaldo nascondeva tanto delle magagne che stavano nascendo all'interno della squadra. È una squadra che ha bisogno di ricostruirsi. È un anno zero".

In Italia c'è un ritardo di due anni nel dare la prima chance di alto livello a un giovane
"Siamo un Paese di vecchi. Chiesa è un '97 che in Europa sarebbe vecchio, qui è considerato ancora un giovane. La crescita è un percorso che non finisce mai. Credo sia un problema culturale, di formazione nei settori giovanili, di struttura dei settori giovanili, di coraggio, mentre il ct della Nazionale ha dimostrato grande coraggio nel mettere giovani, credendo in loro".

È una strategia superata quella di trovare il nemico comune? Dove porta oggi?
"È e resterà una tecnica che si può usare, ma bisogna avere un certo tipo di ambiente per una strategia di questo tipo. In un'annata c'è sempre il momento della costruzione di un percorso di crescita. Pioli al Milan sta facendo qualcosa di straordinario, sta costruendo qualcosa di importante sulla formazione della squadra. Andare a logorare tanto il sistema motivazionale alla fine ti spolpa".

C'è qualche giocatore che può fare ancora molto di più o che avrebbe potuto dare di più al calcio?
"Riccardo Sottil può far molto di più e sta avendo tante possibilità. Lo può fare, può diventare un giocatore importante. Un giocatore che si è perso è Marco Meli, un talento. Ora è a Siena, ha un'importante capacità di apprendimento; partì in ritiro con mister Pioli, stupì a 17 anni, poi ha avuto una serie di problematiche".

La sua personale posizione su tema delle seconde squadre?
"La seconda squadra è un tassello importante per la formazione, perché a diciannove anni è difficile trovare ragazzi pronti. Manca molto l'interesse vero di fare il settore giovanile, interesse economico per una formazione vera, spesso è considerato come un mero costo".

In Italia i giovani fanno fatica
"Maurizio Viscidi sta facendo un lavoro pazzesco. Contro Inghilterra e Portogallo l'Under 20 ha fatto due partite fantastiche. Ma se fai il paragone con Germania, Inghilterra, si fa fatica a presentare in Serie A i giocatori di Under 20 e Under 21".

Cosa le ha lasciato l'ultima esperienza come responsabile giovanile del Sarajevo?
"L'ho interrotta a malincuore. Mi prendo il merito di due ragazzi del 2003 che stanno giocando in prima squadra. Ovviamente il livello è più basso, ma ci sono ragazzi del 2003 possono giocare e stare in un certo tipo di gruppo. Lavorando con una volontà di un certo tipo, l'obiettivo è di portare giocatori in prima squadra o venderli. L'Atalanta può essere un modello in Italia, ma Gasperini si trovò in un crocevia tra giocatori vecchi e giovani: lì è nata l'Atalanta, che allora fu rivoluzionaria, devastante. Credevo di trovare più talento da strada in Bosnia, invece ho trovato grande fisicità".

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