L'Atalanta totale di Palladino: niente calcoli, gioca chi merita e la Dea torna a divorare le partite
Se nel calcio tre indizi costituiscono una prova, la prima settimana "full immersion" dell'era Palladino consegna una sentenza inappellabile: l'Atalanta è guarita e ha ripreso a correre. Non contano solo i tre successi consecutivi, maturati in tre competizioni diverse, ma il modo in cui sono arrivati. Rendere semplici partite sulla carta insidiose è la prerogativa delle grandi squadre, una qualità che a Bergamo era mancata nel recente passato, costando punti sanguinosi contro le "piccole". Mentre altrove si fatica per piegare avversari modesti – vedi il Napoli salvato dai rigori col Cagliari – la Dea ha imparato a gestire i momenti con cinismo chirurgico: azzanna la preda e chiude la pratica in pochi minuti, che siano i cinque di follia a Francoforte, i tredici con la Fiorentina o i diciotto necessari per archiviare la pratica Genoa. Nove gol fatti, zero subiti: la concretezza si è vestita da sera.
FAME CANNIBALE – Il secondo segnale di discontinuità rispetto al passato è l’approccio mentale alle competizioni. Dimenticate le strategie selettive di due anni fa, quando si scelse di sacrificare il campionato per inseguire il sogno (poi realizzato) dell'Europa League. Oggi, complice un calendario che segna novembre e non marzo - cerca di esaminare L'Eco di Bergamo -, la filosofia è quella dell'assalto totale. Arrivare in fondo alla Champions resta un'utopia, la rimonta per il quarto posto in Serie A è un'impresa ardua e la Coppa Italia appare l'obiettivo più tangibile; eppure, Palladino non vuole sentire ragioni. Si gioca per vincere tutto, o almeno per provarci fino all'ultimo respiro. Sarà il campo, a febbraio, a emettere i verdetti e a operare eventuali scremature, non una decisione a tavolino presa oggi.
DIFENSORI D’ASSALTO E BARICENTRO ALTO – Sotto il cofano di questa macchina perfetta c’è un motore tattico rinnovato che coniuga estetica e sostanza. La squadra si diverte e diverte, orchestrata da un De Ketelaere in versione "tuttocampista" che svaria su tutto il fronte offensivo, supportato dal lavoro oscuro ma preziosissimo di uno Scamacca formato operaio di lusso. Ma la vera rivoluzione è dietro: con una linea difensiva altissima (baricentro medio oltre i 60 metri nella ripresa col Genoa), i difensori sono tornati a essere registi aggiunti e incursori, rievocando i fasti dei tempi di Masiello o Toloi. I gol di Djimsiti e Ahanor non sono casuali, ma figli di un assedio sistematico che ha schiacciato il Grifone nella propria area, concedendo ai nerazzurri 120 passaggi nell'ultimo terzo di campo contro i miseri 18 avversari. De Roon, sgravato da rincorse all'indietro, può finalmente alzare la testa e impostare.
LA DITTATURA DEL MERITO – L'ultimo pilastro del nuovo corso è la gestione delle risorse umane. Palladino è stato cristallino: «Non credo nel turnover». Una dichiarazione d'intenti che manda in soffitta le rotazioni scientifiche per abbracciare la filosofia della "formazione migliore". Gioca chi sta bene, punto. Certo, lo sguardo al calendario è d'obbligo, specialmente con l'incognita Coppa d'Africa che tra dieci giorni priverà la rosa di pedine chiave come Lookman e Kossounou. L'infortunio di Sulemana complica i piani, ma apre anche a soluzioni intriganti: Maldini si candida come alternativa naturale per non snaturare il modulo, mentre l'opzione Zalewski alto a sinistra stuzzica la fantasia. Attenzione invece a toccare gli equilibri sulla trequarti: inserire Pasalic o Samardzic in ruoli non loro rischierebbe di inceppare un ingranaggio che oggi gira alla perfezione.
PRIMA VERONA, POI LONDRA – Ora la testa va inevitabilmente alla trasferta del Bentegodi. Il Verona è ferito, reduce da scontri diretti persi, e proprio per questo va affrontato senza distrazioni. L'errore più grave sarebbe proiettarsi già alla sfida di lusso contro il Chelsea. Martedì ci sarà tempo per misurare le ambizioni europee e, forse, per rivedere in campo chi è rimasto un passo indietro nelle gerarchie, da Musah a Krstovic, fino al lungodegente Scalvini. Ma domani conta solo il campionato: la legge della formazione migliore non ammette deroghe, nemmeno alla vigilia delle notti magiche.
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