Savoldi: "Under 23? Non sono la soluzione ai problemi del calcio italiano”
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Gianluca Savoldi, ex attaccante classe 1975 che, a cavallo tra gli anni '90 e 2000, ha collezionato 280 presenze nel campionato di Serie C, è intervenuto nel corso dell'appuntamento mattutino di A Tutta C, trasmissione in onda su TMW Radio e su Il 61, canale 61 del digitale terrestre.
Partiamo con una panoramica su queste prime 14 giornate di Serie C nei tre gironi. Iniziamo dal Girone A: il Vicenza sembra ormai in fuga. È finalmente l’anno buono o in Serie C non si può mai dire?
"Nel calcio – e in particolare in Serie C e ancor più in Serie B – non si può mai dare nulla per scontato. Sono categorie in cui i colpi di scena sono all’ordine del giorno. Detto questo, sì: sembra che per il Vicenza possa essere davvero l’anno giusto, anche se è presto per dirlo con certezza. Una differenza rispetto allo scorso anno è che, almeno per ora, non c’è una rivale chiara: il Brescia poteva esserlo, e ha le caratteristiche per farlo, ma finora non ha dato quella sensazione di continuità necessaria per impensierire il Vicenza. Siamo a metà novembre, la strada è lunga, ma il vantaggio dei biancorossi è importante."
Molti addetti ai lavori vedevano nel Cittadella una delle principali concorrenti del Vicenza. Dopo un avvio traumatico, ha infilato sei vittorie consecutive. Può aver pagato lo scotto della retrocessione, arrivata quasi inaspettata?
"La retrocessione porta sempre con sé un cambiamento radicale. Ho letto le parole di Bianco, allenatore del Monza, che rispondeva a Pippo Inzaghi sulla questione delle favorite: entrambi dicevano che “ognuno tira l’acqua al proprio mulino”. La verità è che spesso si considera favorita chi retrocede perché si presume conservi un patrimonio tecnico superiore. Ma ripartire dopo una retrocessione non è mai semplice: servono gli stimoli giusti, gli equilibri giusti, e non sempre si trovano immediatamente.
Conosco bene il Cittadella: è una società che ha dimostrato nel tempo di sapersi rialzare, lo ha fatto già in passato con retrocessioni seguite da risalite immediate. Hanno le capacità per recuperare, ma 14 punti dal Vicenza sono tanti. E poi, permettetemi: i playoff di Serie C non mi convinceranno mai. Abbiamo 60 squadre per 4 promozioni, già questo è squilibrato. In più mettiamo 29 squadre a fare i playoff… molte neanche dovrebbero accedervi. Per questo dico che il Cittadella deve guardare più a se stesso che al Vicenza, anche se spero possa ridurre il gap."
Nel Girone B l’Arezzo era la favorita sin dall’inizio, forte del lavoro di Bucchi. L’Ascoli, con nuova proprietà e tanti cambiamenti, è lì. Ma sorprende il Ravenna, neopromossa, già ai vertici. Se lo aspettava?
"Onestamente sì. È quasi più semplice, per una neopromossa ben strutturata, puntare subito in alto rispetto a una retrocessa che deve ricominciare da capo. Il Ravenna ha potuto rafforzare l’ottimo lavoro dello scorso anno, mentre chi retrocede deve inevitabilmente ridurre i costi, cedere giocatori, ripartire.
Il Ravenna non è un fuoco di paglia: insidierà l’Arezzo fino alla fine, e ci metto anche l’Ascoli. Per me queste tre faranno un campionato a parte. Sono tre piazze storiche, con grande tradizione. Io ho giocato ad Ascoli, è una piazza di peso, e loro hanno ambizioni importanti.
Sotto, la classifica è ancora corta – il Guidonia è a otto punti – ma credo che il divario aumenterà, non per demerito delle inseguitrici, ma perché le prime tre hanno qualcosa in più. La Ternana finora è partita in sordina, ci si aspettava di più, ma nulla è scontato."
Nel Girone C c’è grande equilibrio. Salernitana, Benevento e Catania si alternano di settimana in settimana al comando. Saranno loro a giocarsi la promozione? O si possono inserire anche squadre come Crotone, Cosenza, Monopoli?
"Per me il Girone C è il più equilibrato di tutti. La classifica è corta, gli scontri diretti sono tanti e nessuna delle prime può permettersi passi falsi. Ci sono piazze reduci dalla retrocessione, come Salernitana e Cosenza, che vorrebbero risalire subito. Il Benevento ha un passato recentissimo in Serie A, il Catania non ha bisogno di presentazioni, e il Crotone è abituato a categorie superiori.
Sono piazze importanti, con tifoserie esigenti. A volte quella pressione può dare una spinta in più, altre volte può essere un peso. È il discorso delle “maglie pesanti”: se pesi 75 kg, quando indossi certe maglie ne pesi 85.
Occhio però anche al Monopoli: società ben gestita, ottimo allenatore, ottimo direttore sportivo. Sono convinto che resterà lì a dare fastidio fino alla fine."
Lei ha lavorato tanti anni con i giovani. Che idea si è fatto delle squadre Under 23? E il salto tra Primavera e professionismo è davvero così grande?
"Ho sempre avuto dubbi proprio sull’ingresso delle squadre B. Due i motivi: il primo è che toglierebbe spazio a piazze storiche che sono sempre state terreno di crescita per futuri campioni – penso a Toni al Modena, Gattuso al Perugia, Pirlo al Brescia, Del Piero al Padova. Il secondo è che per i tifosi è difficile rinunciare alla propria squadra per far posto a club senza legame territoriale.
Si cita spesso la Spagna come modello, ma in molti paesi le Under 23 disputano un campionato separato, non nelle categorie professionistiche. Non credo che le Under 23 abbiano rivoluzionato il sistema né risolto i problemi del nostro calcio. Sono utili solo ai club con un settore giovanile veramente ricco: Juventus e Atalanta, per esempio. Ma quanti club hanno questo patrimonio tecnico? Pochi. E così si rischia di favorire sempre i grandi a scapito dei piccoli.
Quanto al salto tra Primavera e Prima Squadra: è enorme. L’ho vissuto per dieci anni allenando l’Under 19. La Primavera non è più settore giovanile puro, è uno step intermedio. Ma appena entri nel calcio dei grandi cambia tutto: spariscono i genitori che brontolano, spariscono le proteste dietro le quinte, sparisce la protezione. Ti confronti con pressioni vere, piazze calde, tifosi che vogliono risultati. Serve testa, carattere, personalità.
Lo dicevo sempre ai ragazzi: “È finito il settore giovanile”. Molti sono troppo coccolati fino ai 17 anni, poi arrivano tra i grandi e si trovano spaesati. Per questo il passaggio è così difficile: non riguarda solo la tecnica, ma tutta la struttura mentale del giocatore. L’Under 23 può aiutare qualcuno, ma non basta da sola a colmare un divario così grande."
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