
La rivoluzione silenziosa
Negli anni di gestione americana, abbiamo sentito parlare molte volte di progetto e di rivoluzione culturale. Idee puntualmente frantumatesi contro le scogliere della vita e abbiamo assistito a un vortice furioso di allenatori, entusiasmi iniziali, picchi di serenità, malumori, crisi, esoneri e via di nuovo con un altro tecnico. Quasi tutti hanno provato a dare un gioco, tutti hanno tentato, invano, di dare una mentalità vincente a questa squadra.
Fonseca è arrivato in punta di piedi. Ha provato a fare un determinato tipo di gioco, che si è scontrato con il cinismo del nostro campionato. Ha cambiato sottovoce, senza fragore, cercando il giusto mix, la ricetta da applicare qui e ora.
Trovato il giusto compromesso, senza clamore si lavora ora alla costruzione di una mentalità, di un modo di vivere, di lavorare, di pensare. Fin da subito, fin dai primi timidi entusiasmi, ha smorzato ogni velleità perché “ancora la Roma non ha vinto nulla”. Certo, ma vallo a spiegare a un ambiente che ha nel dna il deprimersi e l’esaltarsi con una voracità fanciullesca.
Così, in punta di piedi, Fonseca sta cercando di allenare tutti alla cultura del lavoro giorno per giorno, tenendo la barra dritta e resistendo alla tentazione di adagiarsi senza aver fatto ancora nulla. Un compito arduo, più faticoso del dover gestire i tanti infortuni avuti nelle scorse settimane.
Fonseca lo si vede sornione in conferenza stampa, nelle interviste, negli atteggiamenti (ad eccezione del post Roma-Cagliari), ma incide con la forza di un coltello nel burro. Ha gestito senza clamori il caso Florenzi, l’esclusione di Jesus, ha ridato entusiasmo e voglia di lottare a una squadra che, solo pochi mesi fa, sembrava assopita. Ha valorizzato giocatori dati per persi (Kluivert, Pastore, Smalling). Senza clamore, senza proclami, ma ora deve affrontare la sfida più ardua: la continuità. In bocca al lupo.
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