È stata la mano di Inzaghi: Lautaro punta il record di Ciro. Scudetto? Dipende dalle "riserve"

È bastato un raggio di Lautaro Martinez, perché la difesa della Salernitana si squagliasse come neve al sole. E, soprattutto, tornasse il sereno in casa Inter dopo le minime turbolenze dovute al ko infrasettimanale contro il Sassuolo. All'Arechi, il 4-0 nerazzurro è stato, come raramente è capitato negli ultimi tempi, un autentico one man show. Non è un modo per togliere luce agli altri giocatori della rosa - tema sul quale peraltro si tornerà - ma è difficile trovare, difatti nella storia recente della Serie A si può dire con certezza che sia impossible farlo, un giocatore che abbia avuto un impatto così devastante su una partita. Molto più aperta e combattuta, almeno fino al suo ingresso, di quanto non racconti il tabellino.
Meno male che era stanco. Quanto a ieri sera, il tecnico piacentino, con l'argentino, ha usato l'unica ricetta che aveva. Partendo da un presupposto: Lautaro era stanco. Lo dicevano le sensazioni delle ultime tre partite, lo spiegavano gli oltre 600 minuti disputati in stagione. Più nazionale, voli intercontinentali, annessi e connessi. Non sono numeri da attaccante, tanto meno per uno che si spende così tanto in fase difensiva. L'ha fatto riposare, poi l'ha buttato nella mischia quando la serata proprio non si voleva sbloccare. Il resto è la cronaca di una mezz'ora devastante.
È stata la mano di Inzaghi. Che, da ex attaccante, l'allenatore dell'Inter ci sappia fare con le punte non è certo una novità. Sotto la sua guida, Lautaro ha vissuto una costante escalation. A livello personale, 25 gol nelle prima stagione erano già un passo in avanti rispetto ai due anni di Conte. Nel 2022/23 è andato in crescendo, chiudendo l'annata a 28 reti complessive. Dopo otto partite, Champions inclusa, è già in doppia cifra: 10 gol e ottobre inizia oggi, c'è chi dice tanta roba. Molto, l'ha chiarito anche l'argentino nel post partita di ieri, dipende anche da quello che gli succede attorno: Lautaro è sereno ed è maturo. È campione del mondo, ha una famiglia che cresce, è unita e lo responsabilizza. Non pensa al mercato, ma solo a rimanere interista. Dosa parole da leader in privato e attraverso il suo agente, con dichiarazioni di puro realismo quando gli si chiede del rinnovo di contratto. Forse memore dell'affaire Lukaku, non vuole prendere in giro nessuno e questo è molto più "da uomo" che professare un amore soggetto alle fredde regole del calcio e del calciomercato. Al netto della sua crescita personale, l'impatto del tecnico si sente. Del resto, non è la prima volta.
Lautaro come Immobile? Qualcosa ne sa pure Ciro Immobile. Al quale, esattamente come Lautaro, non serviva Inzaghi per imparare a fare gol: l'ha sempre saputo. Però è nei numeri che la carriera del bomber campano sia svoltata, almeno a livello di continuità, quando ha incontrato Simone. Basta mettere a confronto i dati degli anni comuni alla Lazio con quelli delle stagioni precedenti, fatte di exploit e grandi pause. Di pause, a proposito, ne sa qualcosa pure Lautaro, che di tanto in tanto è andato incontro a periodi no. Evitarli è la sfida di quest'anno: la partenza fa ben sperare, non aveva mai segnato così tanto dopo le prime sette giornate di campionato. Per la cronaca, non l'aveva fatto neanche Immobile nell'indimenticabile stagione 2019/2020, quella dei 36 gol e del record in Serie A: a questo punto, era "solo" a sette reti. Lautaro è già avanti, dovrà solo tenere il ritmo. Mica facile, ma questo inizio suona tanto di definitiva consacrazione. Che sia personale o magari - e tutti in casa Inter, compresi Lautaro e Inzaghi lo vorrebbero - di squadra.
Scudetto e "seconde squadre". L'altro tema che emerge dopo le gare del sabato è proprio quello della profondità della rosa. Il Milan, per esempio, ha trovato un bomber alternativo, quell'Okafor che ne ha fatti due nelle ultime due. Il Napoli a Lecce è sembrato di nuovo un collettivo; la Juventus, non avendo le coppe, è l'unica delle squadre in corsa per lo scudetto a poter dare meno peso alle alternative. Ma, per esempio, si aspetta delle risposte da Kean. Le "riserve", da mettere tra virgolette perché nel 2023 e con sessanta partite all'anno il termine ha davvero poco senso, saranno il vero elemento che farà la differenza nella corsa al tricolore. Da questo punto di vista, se Lautaro fa sorridere, la gara di Salerno ha confermato all'Inter e al suo tecnico che, almeno in certi reparti, c'è ancora da lavorare per ridurre il gap tra le alternative e i titolari. Come si dice, un passo alla volta.
