Marcelo Gallardo è pronto per l’Europa? La storia di un tecnico che ha vinto rispettando la storia ed è in pieno nella modernità del gioco

“In un Paese dove tanto è sospetto e atteggiamento meschino, abbiamo avuto rispetto e dignità per la nostra professione e per la passione che genera. A volte abbiamo l'opportunità di gettare un seme nella società attraverso il calcio. Era il modo e i valori che abbiamo da sempre voluto rappresentare. Sono orgoglioso di ciò che sento, al di là del beneficio che abbiamo apportato al nostro rivale di sempre, il Boca".
Ha scelto di abbandonare così il calcio argentino Marcelo Gallardo, l’allenatore del più vincente River Plate della storia. Ha scelto di lasciare con una vittoria, e non parliamo di quella ottenuta sul campo del Racing, ostruendo al club che fu di Milito e Lautaro Martinez la possibilità di scavalcare in classifica il Boca Juniors all’ultima giornata e conquistare il titolo, ma della vittoria del rispetto, della dignità, della serietà. Ha giocato una partita vera, il River Plate al Cilindro di Avellaneda, e all’interno della festa del Boca per il 35esimo “scudetto”. Malignamente, qualcuno sottolinea che si è voluto prendere, nel “regalargli” il titolo, una ulteriore vittoria, stavolta morale, dopo i tanti successi sul campo contro i bosteros che dal suo insediamento hanno visto una tendenza mutare: il Boca Juniors, reduce da anni di vittorie internazionali (quattro coppe Libertadores solo nel Nuovo Millennio), subiscono un brusco stop nella semifinale di Copa Sudamericana del 2014, dove vengono eliminati da un gol di Pisculichi e una celeberrima parata di Barovero che dice di no al rigore calciato da Gigliotti. L’indice alzato dal portiere dopo l’exploit diventa il segnale di un nuovo corso: dei sette incroci in competizioni internazionali contro gli azul y oro Gallardo non ne ha perso nessuno: quattro vittorie e tre pareggi, con nove gol segnati e tre subiti, e due di queste erano finali. E la finale di Madrid sublima tutta questa supremazia: la storia ricorderà per sempre, infatti, La Finale Eterna, e non solo perché, a causa degli incidenti prima della seconda partita, è stata rinviata e poi giocata a Madrid ma soprattutto perché davanti c’erano ancora i rivali di sempre.
La gara del Santiago Bernabeu è la celebrazione massima e allo stesso tempo intima della cultura riverplatense. Un dominio del gioco chiaro che ha prodotto terrore negli avversari, un deficit psicologico che nasce da una superiorità tecnico-tattica. Il River gioca e segna in quella finale grazie a una serie di combinazioni di gioco che lega come un filo rosso la squadra di oggi con La Maquina, una delle più importanti squadre della storia del gioco che negli Anni Quaranta anticipava principi di gioco poi ritrovate più avanti negli anni, a partire dal falso nove Adolfo Pedernera, maestro e poi compagno di Alfredo Di Stefano, forse il più completo giocatore della storia, cresciuto non a caso con la maglia della banda.
Questo gusto del gioco, questa cultura sono quelle che daranno il titolo alla prima conferenza stampa del Muneco Gallardo, 6 giugno 2014, quando con il direttore sportivo Enzo Francescoli al lato, disse con voce ferma: “River va a recuperar su historia”
Ha recuperato la sua storia, il suo modo di intendere il calcio.
Quando mesi fa ho parlato con Martin Demichelis, ex centrale di Bayern e City, oltre che della nazionale argentina, oggi uno dei candidati principali per sostituire Gallardo al River, mi ha detto: “ la filosofia di questo club, che ti trasmettono nelle giovanili, dove sono passato io, è sempre stata questa: vincere, ma vincere a modo nostro, cercare di divertire e rendere orgogliosa la nostra gente con una gradevole proposta di calcio".
Una proposta apprezzata anche da tanti allenatori europei, citiamo per tutti Pep Guardiola che l’anno scorso disse in una intervista: “Ci sono cose che non posso spiegare: sono nominati tre allenatori per il migliore dell'anno e lui non appare mai. Non capisco come Gallardo non sia considerato tra i migliori allenatori del mondo… il suo lavoro è eccezionale".
Per qualificarlo meglio l’ex CT della nazionale argentina, finalista a Brasile 2014, il il compianto Alejandro Sabella, che lo ha allenato nelle giovanili del River ha detto: “se volete sapere com'è il calcio, aprite la testa di Marcelo Gallardo e vedrete un manuale illustrato".
“Se juega como se entrena”, Si gioca come ci si allena, dice il Muñeco e la intensità è un fattore importante delle sue squadre, ma le corse devono essere quelle giuste: “giocare bene è interpretare bene la situazione”. Un carattere ossessivo-compulsivo il suo : “Non so quale parola mi definisce meglio, ma ognuno è un po' ossessivo nelle cose che fa con piacere. Quando uno è appassionato vive così, anche se poi sai che nella vita ci sono altre cose importanti. Quando arrivo a casa la sera cerco di disconnettermi, o forse faccio solo finta…”, ha detto una volta Gallardo in una intervista, pratica in cui, lì pure, eccelle non riuscendo mai a essere banale. Parla e dice, e quindi risulta sempre credibile.
Lui e il suo staff allargato fatto di 19 persone, compresa una psicologa e il vice storico Matias Biscay, conosciuto ovviamente nelle giovanili del River, sono adesso pronti a sbarcare in Europa. Si parlava qualche tempo fa di Premier (un amico pare abbia confidato che è sempre stato attirato dall’allenare lì), qualcuno ha intravisto la famiglia a Parigi, dove il Muneco ha una casa dai tempi in cui giocava in Francia. Squadre con obiettivi e status diversi e che potrebbero far assaggiare in modo diverso il Vecchio Continente a un tecnico che tra le sue grandi doti ha quella della scelta degli uomini: è sempre attivo nelle veste di reclutatore, e oltre a lanciare tanti ragazzi delle giovanili (nel 2018 inserì nella Finale Eterna Julian Alvarez, oggi in maglia CIty), osserva e pesca calciatori da serie minori o in generale lontano dai radar mainstream.
È nella modernità del calcio anche in questo aspetto. Tocca solo dimostrarlo all’Europa. Questione di tempo.
