PSG-Inter: se decidono i fatturati non c’è partita, ma in campo valgono altre regole

È una finale di Champions League, ma anche un confronto tra modelli opposti. Paris Saint-Germain e Inter si sfidano quewta sera a Monaco di Baviera per alzare la coppa dalle grandi orecchie, ma già fuori dal campo il divario è netto. A partire dai ricavi: il club francese ha chiuso il bilancio 2023/24 con 808 milioni di euro di ricavi operativi, più del doppio rispetto ai 399 milioni dell’Inter. La distanza si fa abissale sul fronte commerciale: 460 milioni per il PSG (grazie anche all’accordo Ligue 1–CVC), appena 148 per i nerazzurri.

Eppure, per quanto i numeri raccontino un dominio, il campo ha detto altro. Per il secondo anno di fila, l’Inter è arrivata in finale con una gestione oculata e un monte ingaggi che non supera i 141 milioni di euro, contro i 221 del PSG. E se Dembélé guadagna 18 milioni lordi, Lautaro Martínez – leader e capitano – ne percepisce 16,6 a stagione. In casa nerazzurra il secondo più pagato è Barella, con 12 milioni, cifra che lo porrebbe ben dietro a Marquinhos, Hakimi, Donnarumma e persino Kvaratskhelia, colpo da 70 milioni del mercato invernale parigino.

La strategia dell’Inter è stata dettata dalla sostenibilità: costi sotto controllo (57% del rapporto stipendi/ricavi), un calo delle perdite fino a 27 milioni e un mercato in passivo solo per riscatti già previsti. Il PSG, pur avendo ridotto le perdite a 56 milioni, resta appesantito da una spesa annuale di 790 milioni per la rosa e un rapporto stipendi/ricavi all’82%.

Oggi più che mai, Inter e PSG rappresentano due modelli antitetici: quello americano, efficiente e focalizzato sulla stabilità finanziaria, e quello statale, spinto dal branding globale e dal supporto del Qatar. Ma stasera, all’Allianz Arena, non conteranno i conti: conteranno novanta minuti. E la Champions si gioca senza bilanci.