Juve, si chiude l’epoca Paratici. Con Agnelli tra commozione, aneddoti e colpi

In questo periodo alla Juventus si mettono punti e si riparte daccapo. Così è stato per la guida tecnica, con l’avvicendamento fra Andrea Pirlo e Massimiliano Allegri, così è stato per il nuovo corso dirigenziale che non prevederà più nei suoi ranghi dopo undici anni di avventura Fabio Paratici. Il pomeriggio di ieri è stato quello delle parole d’addio, del momento dei saluti che tanto ha ricordato quello di Allegri di due anni fa. Nel teatro della sala stampa dell’Allianz Stadium, Fabio Paratici e Andrea Agnelli hanno tenuto una conferenza ricca di emozione, ambo i lati, e nel segno del ricordo, e del bagaglio d’esperienza, che questi undici anni assieme hanno accumulato. E proprio il presidente ha aperto le danze facendo prima un punto sulle tematiche attuali che toccano il globo bianconero e poi dedicandosi a Paratici: “Cito tre acquisti dei tanti: Tevez, Dybala, CR7. L'unico rammarico è Van Persie con quella cena organizzata a casa mia. Me la ricordo e se penso a un rimpianto quello è sicuramente Robin, anche per la missione in avanscoperta che aveva fatto qualche settimana prima. Penso alle rare chiamate alle 7,30 del mattino dove io pensavo solo alla sua incolumità fisica, mentre era in realtà solo in un fuso orario diverso. Penso, per una persona astemia come lui, ai mojito e alle feste scudetto. Rimarranno impresse. Penso che alla Juventus sia arrivato un ragazzo e vada via un uomo, col grande pregio della curiosità. Un uomo istintivo, che segue il suo talento, ma anche responsabile. Soprattutto un uomo vincente: ha gestito la Juventus in uno dei momenti più difficili della storia del calcio”.
DALLA COMMOZIONE AI RICORDI - È stato un Paratici fortemente emozionato, che, a tratti, a fatica ha proseguito nel discorso d’apertura trattenendo quelle lacrime di commozione che l’addio a quella che è stata casa e famiglia porta con sé. “Sono stati undici anni meravigliosi, - ha raccontato l’ormai ex dirigente bianconero, - in un club speciale come la Juventus. Ne sono grato, ho dato tutto quello che avevo e sono molto orgoglioso di quello che ho dato. Passare dalla Juve vuol dire diventare una persona e un professionista migliore, per questo sono orgoglioso, riconoscente e felice per quello che ho fatto”. Undici anni sono tanti, ma il ricordo di quel primo contatto con la realtà juventina è ancora vivo: “Siamo andati io e Marotta a casa di Andrea (Agnelli n.d.r.), abitava ancora in centro. Ci dovevamo vedere in un ristorante, io ero un po' agitato. Sono andato alle 8.30 davanti al ristorante che era una trattoria bellissima con le tovaglie bianche e rosse a spicchi e ho pensato di aver sbagliato posto. Poi ho visto che arrivava lui e mi sono rincuorato. Questo è stato il primo giorno alla Juventus: tuttora vado ancora in quella trattoria e credo anche il presidente”. Ma Paratici è stato l’uomo dei colpi di mercato, riusciti e mancati perché “solo chi non fa non sbaglia”. Dalla scommessa più grande Dybala fino all'acquisto, poco reclamizzato ma che inorgoglisce maggiormente il piacentino: “Dybala è un grandissimo giocatore che ha dato tantissimo alla Juventus. Io credo di essere uno dei maggiori responsabili del fatto che lui sia a Torino, abbiamo investito tanto e fatto una grande scommessa perché pagavamo 40 milioni per un giocatore del Palermo. Credo sia stato l'acquisto più rischioso nella mia gestione. Se devo dire un colpo dico Barzagli che è stato con noi tanti anni ed è stato quello più sottovalutato da tutti. Noi internamente sappiamo che valore ha avuto il giocatore, la persona e tutto quello che ci ha dato”. Fabio Paratici lascia così Madama: alla Juventus si chiude un’epoca.
