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Tare: "Non c'è rabbia per l'addio alla Lazio, era un mio desiderio. Scelta dolorosa"

Tare: "Non c'è rabbia per l'addio alla Lazio, era un mio desiderio. Scelta dolorosa"TUTTO mercato WEB
© foto di www.imagephotoagency.it
giovedì 15 febbraio 2024, 13:30Serie A
di Lorenzo Di Benedetto

L'ex direttore sportivo della Lazio, Igli Tare, ha parlato a Radio Serie A il giorno dopo la vittoria dei biancocelesti in Champions League contro il Bayern Monaco, partendo dall'addio della scorsa estate al club biancoceleste: "All'inizio è stato strano, ora mi sto abituando. Cerco di riempire le giornate conoscendo meglio altri campionati, vivendo da vicino luoghi, stadi e club per scoprire le loro mentalità. Non c'è rabbia per l'addio alla Lazio, era un mio desiderio. La Lazio rimarrà qualcosa di speciale che porterò sempre dentro di me, è stata l'esperienza più bella della mia vita. Con il passare degli anni ho capito che il mio ciclo era arrivato alla fine, era arrivato il momento giusto per andare via. Il rispetto nei confronti di società e tifosi era talmente grande che ho voluto lasciare al top: è stata una scelta dolorosa, ma ora mi sento ricaricato. Sarò sempre tifoso della Lazio. Quando ho deciso? Negli ultimi anni ho visto la crescita della società, il mio obiettivo era questo. Capivo che le possibilità non erano più le stesse, le aspettative erano sempre più alte. Volevo lasciare nel momento giusto proprio per il forte legame che ho con la Lazio".

Sull'Italia: "Sono sempre stato un po' italiano. Nella mia città natale, Valona, si parla molto italiano. Sono cresciuto con musica, calcio e televisione italiana, c'è sempre stato un rapporto profondo con questo paese. È una seconda patria, ho passato 23 anni qui, una vita. Sarò sempre grato a questo paese di cui sono anche cittadino, con fierezza".

Sull'arrivo in Italia, a Brescia: "La settimana prima del mio arrivo in Italia guardavo con mia moglie il derby di Milano. Avevo 27 anni, il mio sogno era quello di giocare in Italia ma avevo paura fosse già troppo tardi. Una settimana dopo, ero in campo a giocare Brescia-Milan, marcato da Maldini e Costacurta. Ricordo quei giorni, c'era tanto stupore nei miei confronti, il Brescia stava cercando disperatamente un attaccante: Gianluca Nani si è presentato in Germania, la trattativa è durata due giorni. Voleva fare uno scherzo a Gino Corioni, mi disse: 'dobbiamo dirgli che hai un braccio di legno'. Il Presidente era preoccupato, sentivo le urla al telefono, diceva: 'e ora chi glielo dice a Mazzone?'. Mi ricordo l'arrivo a Erbusco, vedevo un uomo che girava intorno a me, io non sapevo chi fosse. Ho chiesto a Edoardo Piovani chi fosse, lui mi disse: 'è il nostro Presidente, sta guardando se hai un braccio di legno'. Sono scoppiato a ridere, mi sono presentato a lui mentre mi fissava il braccio. Quando ha visto che era vero, ricordo le urla e le risate con gli altri. Il più bel ricordo ce l'ho con Mazzone: l'ho conosciuto in una stanza d'albergo, mi ha detto: 'mi sa che tu giochi a basket, non a calcio'. Gli ho risposto di essere un calciatore e lui scherzò dicendo: 'annamo bene'. Esordisco in un Brescia-Milan, ero molto emozionato: entro gli ultimi 20 minuti, alla prima giocata provo a stoppare la palla di petto ma sbaglio. Guardo verso la panchina e vedo Mazzone girato verso la tribuna, che urla: 'ao, ma ndo cavolo l'abbiamo trovato questo'. Nella partita successiva, a Bari, ho segnato il mio primo gol: da lì è stato un girone di ritorno da record, da penultimi siamo finiti settimi. Siamo arrivati in finale della Coppa Intertoto pareggiando due volte col Paris Saint-Germain. Il mio legame con Brescia rimane molto forte. Gli albanesi quando mi vedevano uscivano dai negozi, dai ristoranti, mi baciavano i piedi perché erano felici che un loro connazionale potesse rappresentarli. Io non ero un giocatore semplice, io rappresentavo anche il mio paese".

Il ricordo più bello di Mazzone: "Sono due i momenti più iconici che ricordo di Carlo: il primo è sicuramente la sua corsa sotto la curva nel famoso 3-3 in rimonta contro l'Atalanta. Il secondo aneddoto è legato a quello che era un suo rituale: ogni domenica mattina, prima delle partite, insultava la prima persona che incrociava nei corridoi, era una sua scaramanzia, un suo portafortuna; Simone Del Nero era uno dei più sfortunati. Pensavo e si pensava che fosse un folle, ma se lo conoscevi sapevi che era l'essenza vera del calcio; in quella famosa corsa c'è tutto quello che era. Il mio rapporto con lui è stato amore-odio; è l'allenatore a cui sarò più grato. Arrivai a Bologna l'ultimo giorno di mercato, lasciando il Brescia dove avevo un posto da titolare assicurato, con la premessa di giocare sempre, ma lasciai il posto a Fausto Rossini. Feci un altro percorso rispetto a quanto mi avevano promesso. Il mio legame con Bologna è indissolubile, ho trascorso due anni bellissimi. La piazza, la gente, la mentalità e la cultura sono imparagonabili. Mi spiace aver concluso lì con una retrocessione dopo lo spareggio. Nonostante questo, i tifosi hanno sempre riconosciuto il mio impegno e il lavoro fatto per la maglia".

La Lazio: "Difficile descrivere questo legame. Sono arrivato a Roma a 32 anni, avrei voluto arrivare prima e poter dare di più; la scelta venne fatta dalla presidenza e lo capii solo con il tempo. Ho vissuto alti e bassi, ma quei tre anni sono stati stupendi. Il secondo anno abbiamo raggiunto la Champions. Avrei voluto vivere queste esperienze in modo diverso".

Vivere nel ruolo di calciatore e dirigente: "Fare il calciatore penso sia il mestiere più bello del mondo, ma a volte i calciatori hanno un modo di vedere le cose sbagliato perché manca esperienza e determinazione, le epoche sono cambiate. Ad oggi, con i social, è tutto diverso. Avrei voluto avere la testa che ho avuto da direttore anche quando ero calciatore. La visione della vita deve essere a 360 gradi, bisogna capire anche cosa vuol dire essere allenatore e direttore. Bisogna capire i ruoli. È stato più difficile essere dirigente. Da protagonista sul campo, a dirigente dietro una scrivania; ero entrato nell'ufficio di Lotito per firmare il rinnovo da calciatore e sono uscito con un contratto da direttore, senza la minima esperienza. La difficoltà maggiore è stata quella di farmi accettare dai miei ex compagni che si chiedevano come fosse possibile che Lotito avesse affidato a me quel ruolo. Ad oggi posso dirti che lui ci aveva visto lungo: sapeva che parlavo molte lingue, che avevo una conoscenza profonda del calcio italiano ed europeo e che avevo un carattere forte, oltre a venire da un sistema diverso da quello romano, gli serviva una persona come me".

Su Claudio Lotito: "Claudio è stata una persona fondamentale incontrata nel mio percorso, gli sarò riconoscente per sempre. Ha affidato ad un ragazzo di 35 anni e senza esperienza le sorti di una società così importante. Questa scelta coraggiosa che fece e la consapevolezza dell'investimento fatto su di me, mi hanno aiutato a vivere con serenità anche dei rifiuti dati a diverse società che si erano affacciate per avermi con loro, ma dovevo troppo alla Lazio e a Lotito e quindi sono rimasto; contento delle mie scelte e del lavoro fatto giorno dopo giorno. Abbiamo avuto tante discussioni, ma lui ha la capacità di andare oltre, ma abbiamo un legame forte, lo so, lo ho visto nei suoi occhi. La fine della nostra storia è come la fine di un rapporto consumato negli anni ma che rimane sempre bellissimo".

Su Maurizio Sarri: "Lo considero un buon allenatore, ma fuori dal campo è difficile creare un rapporto, ho fatto molta fatica a comunicarci. Eravamo tutti consapevoli di questo limite comunicativo che lui ha, ma la scelta fatta tre anni fa è nata perché si chiudeva l'era di Inzaghi e c'era necessità di rivoluzionare e creare un progetto scioccante, opposto rispetto a quello che avevamo con Inzaghi. Ho scelto io di portarlo a Roma, in accordo con la presidenza. Non ho mai avuto problemi con lui, me lo confermò anche in una cena prima dell'ultima partita dello scorso campionato. Le vendette fanno parte del nostro mestiere. Ci sono sempre visioni diverse, ma le nostre devono combaciare per il bene della Lazio, quello che conta è l'obiettivo comune. Alla fine, conta l'obiettivo, non possiamo andare tutti d'accordo sempre. Il secondo posto dello scorso anno è stato frutto di un lavoro ottimale fatto dalla squadra, dal mister e da tutto lo staff. Lui doveva far fare il salto di qualità alla squadra; inculcare ai ragazzi la consapevolezza di poter lottare per questi obiettivi. Il nostro percorso è stato basato sulla valorizzazione dei ragazzi e non sugli investimenti per acquistarne altri. Sono fiero di aver contribuito alla rinascita, dopo un periodo nero, di questa società".

Su Simone Inzaghi: "Posso dire che quando abbiamo scelto di portarlo alla Lazio, eravamo consapevoli di quanto avrebbe potuto fare. È una persona molto profonda, conosce bene il calcio e conosce bene le dinamiche degli spogliatoi e questo è fondamentale per potersi avvicinare alla squadra. Ha la fortuna dalla sua parte, ma questa fortuna è frutto della sua gestione molto intelligente, la fortuna lui se la crea, nulla arriva per caso. Ad oggi si è consacrato come uno dei migliori allenatori".

Il miglior colpo da dirigente di Igli Tare: "Se penso ad uno dei colpi più belli, penso per forza al primo colpo che ho fatto: aver portato Cristian Brocchi che arrivava dopo un periodo difficile con il Milan, alla Lazio è stato fondamentale soprattutto nel primo anno per raggiungere degli obiettivi. L'altro colpo che ci tengo a ricordare è Hernanes, il primo vero grande colpo. C'era molto scetticismo su questa operazione, erano tutti convinti che non saremmo riusciti a portarlo da noi perché era molto richiesto da squadre molto importanti e blasonate. In otto giorni che sono rimasto lì, il suo agente era una persona spettacolare con il suo modo di fare, io ero incazzato dopo 2-3 giorni perché c'erano tante persone da mettere d'accordo, una follia. Dopo 2-3 giorni volevo fare check-out e tornare a Roma e lui mi calmava sempre e mi diceva "lo facciamo". Joseph Lee, una persona eccezionale, lo ricordo con grande stima. Ricordo volentieri anche Hernanes: io ero in una stanza e nell'altra c'era il Lione, il club faceva due trattative parallele, l'ho capito solo alla fine ed Hernanes è entrato nella stanza del Lione e ha detto che anche se gli offrivano più soldi lui sceglieva la Lazio perché percepiva passione, amore. Le trattative sono possibili solo grazie alla combinazione di più situazioni: servono capacità, tempismo e fortuna. Feci incontri anche per Cavani e Kim, ma sfumarono. Cavani era in rottura con il Palermo, incontrai gli agenti, avevamo l'ok del giocatore ma poi Zamparini disse no e Cavani andò al Napoli. Kim lo avevo scoperto 3 anni prima che arrivasse in Italia, avevo fatto anche un'offerta abbastanza importante, di cinque milioni allo Shangai ma non accettarono. Poi il calcio cinese crollò ma non avevamo più lo slot per gli extracomunitari e andò al Fenerbahce".

Le cessioni: "A Lotito non piace cedere, si affeziona ai giocatori. Tutte le cessioni fatte sono passate da richieste espresse dai giocatori, come i casi di Biglia, Candreva, Keita, lo stesso Hernanes, Milinkovic per un discorso di plusvalenza che sarebbe stata importante anche per gli ultimi tre anni della nostra gestione. il Presidente è comunque andato avanti, gestendo la società con l'intento di tenere tutti i migliori giocatori, nonostante le difficoltà".

Su Ciro Immobile: Veniva da due esperienze non positive, quando lo abbiamo acquistato dal Siviglia cercava rapporti forti con società e allenatore. Nessuno poteva credere che impattasse in questo modo nella storia della Lazio. Ha avuto una media gol irreale. È sempre stato un attaccante da 25 gol all'anno, ma se ci è riuscito è proprio grazie a questa connessione tra giocatore, allenatore e proprietà. Non abbiamo mai trattato la cessione di Immobile. Era arrivata un'offerta da 50 milioni da parte di un club cinese, ma cedere uno come lui significa lasciar andare un pezzo di storia di questa società. Adesso sta attraversando un momento difficile, forse non sente più la fiducia e lui ne avrebbe bisogno per rendere a 360 gradi. Per me non è arrivata la sua fine, se lo fai giocare in un certo modo e gli dai i palloni giusti, resta un attaccante da doppia cifra. Se mi fa star male vederlo così? Fa parte del suo mestiere, tanti altri ci sono passati prima di lui, Sarri e Lotito lo stimano. Gli altri devono essere bravi a non metterlo in discussione in determinati momenti".

Ritorno alla Lazio: "Non so se tornerei, al momento non è la mia priorità. So che ho fatto la scelta giusta di andare via, volevo lasciare la Lazio al top. Dissi a mia moglie, quando arriverà quel giorno voglio che l'Olimpico sia esaurito. Abbiamo pianto e ci siamo abbracciati dopo un Lazio-Cremonese con lo stadio pieno. Si ricordò di quella frase. La mia è una storia di motivazioni per i giovani che nella vita devono sapere che per raggiungere l'obiettivo, non devi mollare mai".

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