Cara Brescia, ti scrivo: vale la pena difendere la propria unicità se il rischio è ritardare la rinascita?

Nonostante l'ufficialità della mancata iscrizione del Brescia al prossimo campionato di Serie C, annunciata da Massimo Cellino, il futuro della Leonessa continua a tenere banco.
La situazione è complessa su più fronti. Da un lato, la sindaca della città lombarda, Laura Castelletti, ha aperto alla possibilità di cedere da parte dell'amministrazione comunale il vecchio marchio 'Brescia Calcio'. Questo marchio, lasciato libero dalla famiglia Corioni al momento del passaggio di proprietà all'imprenditore sardo, potrebbe essere acquisito da una delle realtà provinciali già iscritte al torneo di terza serie (con Feralpisalò in primis, seguite da Lumezzane e Ospitaletto).
Dall'altro lato, però, emerge il netto rifiuto della tifoseria delle Rondinelle a questa ipotesi. Un "no" dettato dalla ferma volontà di difendere la propria identità e unicità storica, ma anche dal rispetto verso le realtà alternative che hanno il pieno diritto di proteggere i propri colori e la propria territorialità.
Si delineano così due posizioni, quella delle istituzioni e quella della tifoseria, entrambe legittime e altrettanto comprensibili. Tuttavia, la storia di molte altre piazze calcistiche dimostra che ripartire da zero, come la Curva del "Rigamonti" preferirebbe, rischia di trasformarsi in un limbo non sempre semplice da superare. L'esempio del Livorno, tornato oggi in Serie C dopo quattro anni trascorsi tra Eccellenza e Serie D, è assolutamente calzante e serve da monito.
Inoltre, l'opzione di ripartire da zero implicherebbe la necessità di trovare un imprenditore disposto a farsi carico di un nuovo inizio, scenario che nel recente passato non si è mai concretizzato, nonostante le ripetute dichiarazioni di Cellino sulla sua volontà di disimpegnarsi.
È innegabile che una nuova società partirebbe con zero debiti e zero pregresso, ma la domanda che sorge spontanea per la città di Brescia è: il gioco vale davvero la candela?
