Plusvalenze, giovani e niente quarta punta: a gennaio la Juve ha pensato al domani

Quagliarella, Giroud, Pellé, Pavoletti, Llorente, Milik, Scamacca. L’elenco di attaccanti accostati alla Juventus o concretamente sondati dal club bianconero, nel mercato che si è concluso alle 20 di ieri, è lungo, valido, corposo. E in ultima analisi infruttuoso, se è vero che la società bianconera ha deciso di non investire per regalare ad Andrea Pirlo un altro quarto attaccante. Sul punto, c’è da riconoscere a Fabio Paratici grande onestà intellettuale: ha sempre assicurato che si sarebbe mosso solo in presenza di opportunità, e mai dato per scontato che un rinforzo sarebbe arrivato. Anche a dispetto del fatto che in più di un’occasione lo stesso allenatore si sia dimostrato piuttosto possibilista sul fatto che qualcun altro, lì davanti, sarebbe servito.
Kulusevski e crisi. Le due spiegazioni, in ultima analisi, del perché la Vecchia Signora non si sia mossa, almeno nell’immediato. L’una tecnica e l’altra economica. C’è Dejan Kulusevski, anzitutto: lo svedese, dal talento innegabile ma anche personaggio in cerca d’autore nella prima parte di stagione, è stato provato e riprovato da Pirlo come quarto attaccante. Nelle ultime uscite ha giocato quasi sempre lì e convinto il proprio allenatore di poter rientrare a pieno titolo nelle rotazioni relative al reparto avanzato. Così, di una quarta punta a Torino si è sentita meno la necessità, anche a dispetto del fatto che la coperta sia pur sempre quella e se Kulu lo consideri in attacco poi non puoi contarlo anche tra gli esterni di centrocampo. E poi il fattore economico, non casualmente rimarcato in più di un’occasione da Andrea Agnelli, che ha consigliato a tutta la Serie A più miti consigli. In altre occasioni, probabilmente, anche la Juve si sarebbe mossa in maniera diversa: nella congiuntura attuale, anche i bianconeri hanno riflettuto e infine desistito prima di affondare il colpo di riparazione.
Plusvalenze e giovani. Ciò non ha tuttavia impedito alla Vecchia Signora di muoversi, eccome, soprattutto nell’ottica dei giovani e della seconda squadra. Contabilità alla mano, l’affare legato a Nicolò Rovella (18 milioni che potrebbero diventare 38 in futuro) è stato il più oneroso dell’intera sessione invernale, ampiamente compensato dalle contestuali cessioni di Portanova e Petrelli su un asse di mercato, quello col Genoa, che definire ben collaudato suona quasi eufemistico. E poi a Torino si sono visti rinforzi utili soprattutto per l’Under 23, da Aké a Pecorino: la Juve, sotto questo profilo, ha speso. Anche qui, il binario è duplice, tecnico ed economico. I giovani possono rappresentare il futuro di Madama, ma finora non sempre l’hanno fatto e la circostanza che solo Pinsoglio figuri tra i calciatori cresciuti nel club in lista Champions è anche la prima spiegazione del perché la rosa bianconera, numericamente ai minimi termini, qualche lacuna l’abbia evidenziato. Tra i meriti di Pirlo, quello di aver invertito il trend, anche se il percorso da fare è lungo. Viceversa, tanti giovani sono diventati soprattutto materiale di plusvalenza, per la Juve come per gli altri, nel corso degli anni: strumenti che aiutano i conti e il bilancio nell’immediato, ma innestano anche un pericoloso circolo vizioso perché bisognoso di nutrimento di stagione in stagione, come una bolla, e di solito le bolle prima o poi esplodono, col rischio di doversi preoccupare sempre del domani e sempre un po' meno dell'oggi.
