Zanetti racconta i suoi 30 anni di Inter: "Col Vicenza nel '95 ho coronato il sogno"

A trent'anni dal suo sbarco nel mondo Inter, il vicepresidente Javier Zanetti si è raccontato in un'intervista ai canali ufficiali del club ripercorrendo i passi salienti della sua carriera: "Ricordo ancora il mio arrivo a Milano: presentazione in Terrazza Martini, c'erano Facchetti, Angelino, Suarez, Bergomi, il presidente Moratti… Ricordo quella prima sensazione nello scoprire il mondo Inter. Mia mamma mi aveva raccontato le grandi finali, quella con l'Independiente per esempio, di cui io sono tifoso in Argentina. Poi vedevamo le partite contro il Napoli di Maradona… Avere questa opportunità di giocare in un club come l'Inter era bellissimo, eravamo tutti emozionati, mio padre e mia madre per la prima volta presero un aereo con me. C'era grande emozione".
Quando ha capito che l'Inter sarebbe stata la sua vita?
"Io mi sono innamorato dell'Inter fin dall'inizio, dell'atmosfera, del senso di famiglia. E' quello che io cercavo, ero giovane, straniero, volevo che i miei compagni, i tifosi e il presidente fossero fieri. Ho sentito questo legame forte e dopo 30 anni siamo ancora qua".
La sconfitta che le è servita di più?
"Le sconfitte servono sempre, sono quelle che ti fanno capire e migliorare. La prima sconfitta è stata la finale persa con lo Schalke. Io ero arrabbiatissimo per il cambio, anche se poi capii perché il mister lo fece. E poi il campionato perso nel 2002. Sono sconfitte che danno rabbia ma che fanno capire".
Si è arrabbiato spesso?
"No, poche volte, cercavo solo le energie positive per vincere, non lasciavo tempo alla rabbia. Penso sempre alle nuove opportunità".
Tolta la Champions, il trofeo con più significato?
"La finale di Coppa Uefa a Parigi. C'era la mia famiglia e avevamo perso l'anno precedente, c'era voglia di riscatto e riuscii a segnare anche un bel gol".
Ronaldo è stato il compagno più forte?
"La parola Fenomeno lo definisce. Quello che faceva anche in allenamento era sorprendente ogni giorno. Era simpatico, positivo e averlo con te era un vantaggio. Le stagioni fatte insieme abbiamo visto il miglior Ronaldo, era nella piena maturità. E' stato il colpo più importante dell'era Moratti".
Ci sono segreti per una carriera così?
"L'allenamento, come lo fai e come lo interpreti. E il rispetto per la professione. Arrivare pronto per me era una sensazione di sicurezza. Mi fa sentire bene".
La fascia dell'Inter...
"Una grande responsabilità. Sono stato onorato di esserlo stato. L'Inter è la mia famiglia e il club che amo, per questo davo sempre tutto".
Un gesto che spiega la sua storia all'Inter?
"Il pianto di Madrid sicuramente. Era il completamento di un percorso con questa maglia. Il poter sollevare quel trofeo dopo 45 anni senza finali è stato bello, da lì il pianto e l'abbraccio con Mourinho che sapevo sarebbe andato via".
Cosa è per lei l'Inter nel futuro?
"Una promessa da mantenere. Essere ancora qua e avere questo legame è importante, voglio contribuire e trasmettere i valori di questo club".
L'ultima con la Lazio?
"Me la porterò dentro sempre. I compagni mi avevano fatto la sorpresa dello striscione, lo stadio, i bambini con la numero 4. Più passavano i minuti più mi rendevo conto che stava arrivando la fine. Mi resterà il grande amore nei miei confronti".
L'allenatore che le ha lasciato di più?
"Allenatori ne ho avuti tanti… Ricordo Bianchi, appena arrivato, mi chiamò in camera e mi chiese dove avrei preferito giocare. Mi sorprese l'approccio, mi accolse con un sigaro e un mazzo di carte. Poi Simoni, resterà un padre per noi. E Mourinho per la metodologia di lavoro che non conoscevamo. Non eravamo certi dei risultati all'inizio…".
I compagni più simpatici?
"In camera sempre Cordoba, prima Djorkaeff e Zamorano. Il più simpatico però Maicon. Faceva cose e gesti coi tifosi che sorprendevano, per simpatia".
L'episodio che racchiude lo spirito di gruppo dell'Inter?
"La partita col Barcellona, quello spirito di squadra con un uomo in meno, la generosità di tutti per arrivare all'obiettivo. Quella notte mi è rimasta per lo spirito di squadra".
L'azione che descrive Zanetti?
"La cavalcata nel derby nei minuti finali che prendo palla nella nostra area e la porto in quella avversaria. Quella descrive il mio modo di interpretare il calcio".
Il giorno preferito?
"Ricorderò per sempre la prima partita, Inter-Vicenza del 1995. Era il coronare il sogno. Il boato di quella partita me lo porterò sempre dietro, non avrei mai immaginato che sarebbe stata la prima di 858 partite con l'Inter".
