Santon e il calvario legati agli infortuni: "Dopo il ritiro ho pensato: 'Adesso che faccio?'"

Ospite dei microfoni di Radio Serie A, Davide Santon, ex difensore, in particolare, di Inter e Roma, ha ripercorso i momenti principali della sua carriera. Di seguito lo stralcio dedicato ai tanti infortuni che ne hanno minato il percorso professionale:
"Faccio il mio esordio con l'Inter a gennaio 2009 e da quel momento gioco praticamente tutte le partite da titolare. In un anno debutto anche in Coppa Italia, in Champions League, in Nazionale Under-21 e con Lippi anche nella Maggiore. Quando sta per iniziare la stagione 2009/10, mi convocano in U-21 contro il Lussemburgo, mi fanno un brutto intervento che comporta la rottura del ginocchio. All'intervallo premono per farmi tornare in campo. Abbiam bisogno di te mi dicono, devi giocare. Allora stringo i denti, torno in campo, ma mi spappolo il menisco. Vengo operato, ma dopo poche settimane ero già tornato a correre. Da quel momento inizia un calvario. Il ginocchio si gonfiava sempre, sentivo sempre dolore, non mi sentivo più io, non ero più il Davide Santon di prima. Quel momento ha condizionato il futuro, la mia carriera che comunque è stata buonissima, ma avrei potuto fare molto di più.
Avevo sempre una palestra personalizzata con me perché nei periodi di riabilitazione dovevo lavorare. Periodi duri, di ultra-lavoro, ma che non potevano mai mancare. Roma fu una sorpresa. Venivo da una stagione negativa all'Inter, l'ultima, perciò in vacanza venne fuori questa ipotesi di scambio con Nainggolan e un giovane Zaniolo. Sembrava una chiacchiera e invece successe davvero. Mi chiamò il mio agente: "Preparati, andiamo a Roma, devi firmare". Arrivai nello scetticismo, come terza/quarta scelta, eppure trovai presto la titolarità. Mi lanciò Di Francesco, giocai un grande derby. La partita più importante dell'anno a Roma. In generale, nella mia carriera, penso si sia visto solo il 40% delle mie reali potenzialità. L'80-90% fino al primo infortunio, poi solo quello. Io lo so com'ero in campo quando stavo bene.
E' stata una delle decisioni più dure della mia vita. Dopo gli allenamenti tornavo sempre a casa, raramente potevo uscir fuori a giocare coi bambini, dovevo sempre mettere il ghiaccio anche solo per potermi allenare il giorno dopo. La fine è arrivata in un momento inaspettato. Finisco l'anno con Fonseca, poi arrivo Mourinho ma io ero sul mercato. L'annuncio di Mou arriva mentre ero sdraiato sul lettino. Mi dissi: "Se questo non è un segnale... Può essere la mia fine definitiva, o l'apertura dell'ennesimo rilancio". José voleva portarmi in rosa, ma a patto che stessi davvero bene, anche se sapeva quali erano le mie condizioni, che avevo giocato poco. Per il bel rapporto che abbiamo fui sincero con lui. Gli dissi: "Mister, oggi sto bene, domani non lo so". Capisco la società che prese una decisione su di me, mi ritrovai fuori rosa nell'ultimo anno di contratto. Perciò iniziai a vedere la mia fine arrivare. Andavo a Trigoria, mi allenavo e pensavo. "Ma domani come faccio a riallenarmi?". Poi giocavo una partita, e non sapevo come avrei potuto giocare anche la successiva. Fisicamente sentivo sempre dolore e, piuttosto che fare figuracce, presi la decisione di ritirarmi. Son stato male, ma non poteva andare altrimenti. E' stata molto dura lasciare. Sogni di fare il calciatore, cresci, raggiungi l'obiettivo e non vuoi che finisca mai. Ma un giorno quella fine arriva. Quando per vent'anni fai sempre quello, a un certo punto ti svegli una mattina e non hai più niente. Ti chiedi: 'E adesso che faccio?'. A un certo punto mi svegliavo vuoto dentro, non sapevo più dove girar la testa. Sono stati 5-6 mesi di grande difficoltà, poi pian piano mi sono ripreso.
Se non fossi stato intelligente tatticamente, in Serie A con i miei problemi fisici non avrei potuto giocare. Praticamente con una gamba e un quarto. Potevo credere più in me stesso, certo. Per la paura di farti male però, in tante situazioni, invece di fare una corsa in più ne fai una in meno. Pensi magari mi stiro. Mou mi diede questo soprannome, "il bambino". E io spero di essere stato un'ispirazione per tanti bambini. Se ci credi, puoi farcela. E io ci ho creduto, partendo da un paese di 3mila persone. Spesso mi chiedo come ho fatto. Posso dire di essere tra i primi dieci giocatori più giovani ad aver esordito in Nazionale, di aver vinto due scudetti, una Champions League e un mondiale per Club. Di far parte di quei 800-900 che hanno indossato la maglia azzurra. Posso essere fiero di quello che ho raggiunto, anche se si può sempre fare di più. Purtroppo esistono anche gli ostacoli che non ti fanno andare oltre".
