La scommessa non ha pagato. Per tornare grandi non vergogniamoci di essere troppo italiani

Paulo Fonseca ha puntato tutto sull’Europa e ha perso. A meno di miracoli, in qualche caso riecheggianti quello di Lazzaro che s’alza e cammina, la sua Roma è fuori dall’Europa League. Con l’ignominia di un risultato pesantissimo, peraltro. E il rischio, per i giallorossi, di fare da spettatori della seconda competizione continentale anche nella prossima stagione. Il filotto in campionato è da incubo, il Sassuolo alle calcagna. Fonseca ha puntato tutto sull’Europa e ha perso quella scommessa, ma rischia di perdere tutto perché la sua Roma ha accantonato il campionato e ha messo in pericolo persino il settimo posto che sembrava il minimo sindacale. Cosa rimarrà in mano alla Magica in quel caso? La Conference League e un pugno di mosche. Eppure fino all’altro ieri si raccontava della Roma bella ed europeista, del coraggio di mettere in secondo piano gli obiettivi di Serie A per concentrarsi su quelle oltre le Alpi. L’Europa League non come una porta di riserva alla Champions, ma come l’ingresso principale. Tutto il contrario di quello che ci hanno sempre insegnato: il campionato lo puoi programmare, nelle coppe basta una serata storta per mandare all’aria tutti i tuoi bei progetti. Un paio di infortuni e sei fuori. Mentre il cavallo di razza si vede alla distanza, e questa la puoi valutare solo sulle 38 (troppe?) giornate di campionato.
Perché vergognarsi di essere troppo italiani non è la soluzione. Da tanti punti di vista. Fonseca, che è un ottimo allenatore ma è stato sfortunato e ha anche commesso degli errori (anche nel rischiare così tanto ieri sera con tanti al rientro), è stato elogiato anche per il suo essere così poco italiano. Neanche fossimo in un monologo di Stannis La Rochelle. Domani sarà demolito perché ha dimenticato un insegnamento del calcio italiano. Ne abbiamo scordati anche altri. Per esempio, che un tempo vincevamo con la difesa. Oggi non siamo più una scuola sotto quel profilo. Meglio di altri, per carità, ma di svarioni lì dietro se ne contano parecchi in tante parte di grandi e grandissime squadre della Serie A. “In Europa si vince controllando il gioco”. Vero per gli altri, magari. Forse anche per noi, ogni tanto. Ma non c’è da vergognarsi, se abbiamo fondato una scuola e da quelle basi un po’ ci vergogniamo di ripartire per tornare grandi. Rinnovarle è un conto: il calcio s’evolve. Rinnegarle è un altro. Senza scordare che, più di difesa e attacco, contano i campioni. Lo United ne aveva di più della Roma e ha vinto. Le quattro semifinaliste di Champions ne avevano di più delle italiane, e abbiamo rimediato figuracce nell’Europa che conta. Non si va molto lontano, senza la qualità.
