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Carlos Dunga, Cucciolo tra Pisa e Firenze. Il brasiliano più europeo di sempre

Carlos Dunga, Cucciolo tra Pisa e Firenze. Il brasiliano più europeo di sempre
© foto di Matteo Gribaudi/Image Sport
martedì 31 ottobre 2023, 05:00Nato Oggi...
di Ivan Cardia

All'anagrafe, Carlos Caetano Bledorn Verri. Per tutti, Dunga: è il soprannome che gli è stato affibbiato sin da piccolo, la traduzione portoghese di Dopey, Cucciolo per gli italiani. L'altezza c'entra poco, i 177 centimetri non mentono. E pure l'atteggiamento in campo: l'ex centrocampista brasiliano, che oggi compie 60 anni, non era affatto tenero con gli avversari, né particolarmente lento nelle scelte che prendeva in campo.

Il più europeo dei brasiliani. Nato a Ijuí, comune dello Stato del Rio Grande do Sul che oggi conta poco meno di 80 mila abitanti, è cresciuto calcisticamente nell'Internazionale di Porto Alegre. Nel 1984 lo nota la Fiorentina, la squadra di club alla quale legherà in misura maggiore la propria carriera: i viola lo acquistano insieme a un altro brasiliano, Socrates, ma i due non giocheranno mai insieme in Toscana. Il dottor Guevara del futbol si trasferisce subito in Italia, mentre Dunga non attraverserà l'Atlantico prima di altre tre stagioni, nel corso delle quali veste le maglie di Santos e Vasco da Game. Per la cronaca, pur giocando nello stesso ruolo, i due non potrebbero essere più lontani: alla classe innata di Socrates, di cui prenderà il posto anche nella nazionale verdeoro, Dunga contrappone caratteristiche tutt'altro che brasiliane. Buon piede sì, ma soprattutto tanto ordine e parecchia interdizione. Chi i tacchi e i tocchi di fino, chi le legnate: ognuno fa il regista come gli pare. Ad accomunarli, semmai, una leadership naturale, pure questa però declinata in maniera diversa, dentro e fuori dal campo: dell'anticapitalismo di Socrates, una delle guide della democrazia corinthiana, sanno tutti. Quale sia la posizione politica di Dunga è affidato solo a indiscrezioni, che però lo accostano a simpatie per l'ex presidente Jair Bolsonaro.

Un grande protagonista della Serie A. Come detto, la parte migliore della carriera di Dunga, fermandosi ai club, si svolge in Serie A. Il primo anno lo gioca con la maglia del Pisa, allenato da Giuseppe Materazzi. I nerazzurri di Toscana si salvano, Carlos è anche protagonista nel sorprendente 2-1 casalingo all'Inter, deciso proprio da un suo gol. Il capolavoro avviene però fuori dai nostri confini: il Pisa vince la Mitropa Cup, l'affascinante competizione inventata a inizio secolo e trasformata dal 1979 nella coppa destinata alle squadre vincitrici di campionati di secondo livello, fino alla soppressione del 1992. L'anno dopo, ecco la Fiorentina: con i gigliati giocherà per quattro stagioni, collezionando oltre cento presenze. Sono gli anni di Roberto Baggio, che nel '90 passa alla Juventus: si narra che la decisione dei viola di puntare su Sebastiao Lazaroni, ct del Brasile ai mondiali italiani, fosse anche un modo di tenere contento Dunga, evidentemente scettico circa la cessione del Divin Codino. Salutata Firenze, nella stagione 1992/1993 gioca ancora in Italia, col Pescara che retrocederà in Serie B, per poi trasferirsi allo Stoccarda, nel 1995 in Giappone allo Jubilo Iwata e infine chiudere la propria carriera lì dove era iniziata, all'Internacional. Trofei? Pochi, quasi tutti conquistati in Brasile a inizio avventura.

Il leader del Brasile '94. Con la Seleçao, invece, la storia è ben diversa. La prima partita tra i grandi è datata maggio 1987, in amichevole a Londra contro l'Inghilterra: finisce 1-1. L'ultima è la non felicissima finale di Saint Denis, mondiali 1998, nella quale il Brasile cede il passo alla travolgente Francia di Zidane. Nel mezzo, 91 partite che ne fanno il sedicesimo giocatore più presente con la maglia verdeoro. Uno dei più vincenti, però: la striscia la inaugura già nelle competizioni giovanili. Nel 1983, il Brasile vince sia il Sudamericano che il Mondiale Under 20. Dal 1989 al 2007, Dunga partecipa a tre edizioni della Copa America: ne vince due, aggiungerà la terza quando tornerà sulla panchina della nazionale, nel 2007. Non è finita qui a Usa '94, il Brasile arriva come un'incognita. Ha Dunga, ha due stelle come Romario e Bebeto, un giovanissimo Ronaldo, ma la coppa iridata assomiglia a una maledizione: l'ultimo successo è datato 1970, ventiquattro anni prima. Non sarebbero tanti per nessun'altra nazionale al mondo, ma per la Seleçao sì. Come sia finita quel giorno a Pasadena, noi italiani purtroppo lo sappiamo fin troppo bene. Appese le scarpette al chiodo, ecco la carriera da allenatore, tra alti e bassi: guida il Brasile prima dal 2006 al 2010 e poi ancora dal 2014 al 2016. Vince subito la già citata Copa America, poi la Confederations Cup, ma non va oltre i quarti di finale dei Mondiali 2010. La sua seconda avventura da ct verdeoro va pure peggio, esonerato a marzo 2016 nel bel mezzo delle qualificazioni, con l'onta di aver vinto appena due partite sulle sei disputate, e l'eliminazione in Copa America contro il Perù a rappresentare la classica gocciolina di un vaso stracolmo. In Italia, da allenatore non è tornato: nel 2011 un contatto con l'Inter, ma non se ne fa nulla, pare per decisione sua.

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