Corrado: “In A col nono monte ingaggi, quando siamo arrivati non c’era l’acqua calda”

Giuseppe Corrado, presidente del Pisa, è intervenuto in occasione del panel “Welcome back in Serie A”, organizzato nell’ambito del Festival della Serie A in quel di Parma: “Otto anni fa sono arrivato in una società dove non c’era l’acqua calda e non pagavano gli stipendi da tempo. Abbiamo iniziato un lavoro di ricostruzione, questo traguardo è stato la conseguenza del lavoro costruito, preparato e gestito al meglio. I tifosi aspettano questo momento da 34 anni: ha significato liberarsi da un macigno, toccare il cielo con un dito e manifestare la gioia con tutta una serie di eventi e un’autentica baldoria. Una cosa straordinaria”.
Come vede lo stato di salute del calcio italiano?
“In passato ci si avvicinava come fosse un hobby, è andato avanti ma non in termini di professionalità. Il grande calciatore, quando smette, non è detto che diventi un grande dirigente: Marani ha detto che servono meno nomi e più curriculum, sono d’accordo. Io penso che la cosa fondamentale sia la dirigenza: l’allenatore può essere sostituto, il calciatore può raggiungere i suoi traguardi. Alla società sta di riuscire a sopperire e arrivare a dei risultati in maniera equilibrata: noi avevamo il nono monte ingaggi e siamo in Serie A. Palermo o Sampdoria avevano monte ingaggi più alti e non ce l’hanno fatta: servono le idee. Squadre come Benevento e SPAL sono in Serie C e fanno fatica, credo che le squadre di provincia debbano guadagnarsi il loro spazio. Poi alcuni club come l’Atalanta hanno dimostrato che, attraverso investimenti importanti e programmazione delle risorse, si può arrivare a vincere in Europa”.
Lei sostiene che ci si debba svincolare dai diritti Tv. “I diritti Tv premiano il sistema: nell’ambito del sistema ognuno può trovare il suo spazio. Non dimentichiamo che ogni società di calcio è un media che deve vendere il proprio brand e creare valore. Poi c’è una parte del business caratteristico, che è quella famosa realtà che ogni società deve rappresentare, di essere una fabbrica di talenti. Molto probabilmente la società top non ha neanche interesse, ma quelle di seconda e terza fascia hanno il compito di generare valore da mettere sul mercato. Si deve un po’ ricostruire questo sistema: in parte dipende dal meccanismo e in parte dalla gestione di ogni singola azienda”.
Il Como diventerà il City italiano? “Non lo so, io parto dal Pisa: la proprietà americana è arrivata da tre anni, e non penso che competeremo con il Como sotto questo profilo. Poi non dico che sia sbagliato che qualcuno investa 200 milioni all’anno sul Como: magari vincerà la Champions, lo spero. Dipende dall’obiettivo che l’azionista pone: noi probabilmente faremo divertire la gente in maniera diversa”.
Vi divertite ancora a fare calcio?
“Ho lavorato in tanti settori, poi sono arrivato nel calcio. Era una passione, ora un lavoro: in termini di divertimento è sempre lo stesso: a me è sempre piaciuto, da quando sono nel calcio mi diverto meno a vedere le partite, perché soffro un po’ di più”.
Quanto conta l’allenatore? “Secondo me il 20/25%. Vale come vale un pilota in Formula 1: conta di più la progettazione della macchina o il pilota? Io non sono intenditore di F1, ma dicono che la macchina sia fondamentale. Un allenatore fa parte della catena, è importante come il grande giocatore, il finalizzatole, il bravo difensore. Conta più la società”.
