L’estate dei muri alzati (finora)

Fino a un po’ di tempo fa sembrava che la volontà del giocatore fosse un elemento preponderante nella trattativa. Il “sì” del giocatore, una manifestazione concreta della voglia di andare via, magari un messaggio social, fino ad arrivare ai famosi certificati medici. Era l’innesco che smuoveva tutto. Perché se un calciatore voleva andare, le società – prima o poi – si adattavano. Oggi non più. O almeno: nnon adesso e non sempre. Il mercato dell’estate 2025 ci sta raccontando un’inversione di tendenza. I club– piccoli, medi o grandi – sembra che si stiano riprendendo il centro della scena. Trattano, sì. Ma dettano condizioni. E anche a costo di scontentare il giocatore, tengono il punto. Fino anche a rischiare la rottura della trattativa. Di casi ce ne sono. Il più attuale ovviamente è quello di Lookman. L’Inter lo ha scelto, lui ha scelto l’Inter. L’accordo è totale, anche l’offerta (più di 42+3 milioni) è stata limata e migliorata. Ma l’Atalanta non apre. Dice di valutare l’offerta sapendo che quanto prodotto dai milanesi non serve. Anzi non basta. Dice di poter vendere, ovviamente, ma dopo Retegui non c’è più neanche questa necessità e quindi le condizioni i tempi e i modi li detta l’Atalanta, nessun altro. Tradotto: o arriva una proposta di un certo tipo – superiore anche ai parametri già molto alti di mercato – oppure non se ne fa nulla. Sarà davvero così? Le volontà di Lookman non saranno davvero prese in considerazione? L’Inter sarà in grado di migliorare ulteriormente l’offerta per cercare di accontentare il più possibile Percassi? In fondo l’Atalanta sta tendendo lo stesso tipo di atteggiamento avuto la passata estate con Koopmeiners. Si vende alle condizioni che abbiamo indicato: ma alla fine il giocatore è andato, Per una cifra vicinissima ai 60 milioni (che era quello che voleva l’Atalanta) bonus compresi. Con Lookman sembra ripetersi lo stesso schema. E per il momento il giocatore scontento è costretto a farsene una ragione.
Una cosa analoga accade con Ardon Jashari. Il Milan lo vuole e ha fatto più di un passo, migliorando l’offerta più volte nel corso delle settimane. Il giocatore, da parte sua, ha scelto i rossoneri e lo ha ribadito a più riprese, senza fare gesti eclatanti ma sottolineando con forza la propria posizione anche di fronte ai propri dirigenti. Ma il Bruges – anche in maniera pubblica attraverso le interviste di questi giorni – continua a rispondere: ci sono offerte più alte dalla Premier League. “O pagate quanto gli inglesi, oppure se proprio vuole andare via, che scelga la Premier”. Un messaggio chiaro. La volontà del ragazzo, per ora, non incide. Vista dal punto di vista della società belga non fa una piega, ma il Milan ha fatto un’offerta molto importante: la seconda in assoluto per un giocatore che gioca nella Jupiter League. Un trasferimento storico insomma. E da questo punto di vista, se da una parte ci sono le ragioni del club che vende, non può non essere presa in considerazione l’offerta rossonera. Ma - come detto - finora nulla da fare.
Morata è un altro caso simbolico. Vorrebbe lasciare il Galatasaray, ha già l’accordo con il Como, ha costruito una via d’uscita. Ma per liberarlo serve che il Milan, che detiene il suo prestito, trovi un’intesa con i turchi. Il Gala, forte del fatto di aver esaudito in passato tutte le richieste di chi c’era prima (pensate al trasferimento di Osimhen), ora di fatto pretende lo stesso tipo di rispetto. O meglio: ne pretende anche di più. Nessuno sconto, anzi voglio essere pagato. Addirittura, nonostante l’arrivo del nigeriano, dicono che Morata è un titolare e che quindi non possono lasciarlo andare tanto volentieri.
Anche la Juventus ha più di un caso in mano. Il più evidente rimane quello di Kolo Moani che si intreccia con la posizione di Vlahovic. Kolo ha già detto sì alla destinazione bianconera. Ma in questo caso il PSG è stato chiarissimo: prestiti (secchi o con diritto di riscatto) non se ne fanno. La cessione può avvenire, ci mancherebbe pure, ma deve essere o a titolo definitivo o al massimo prestito con obbligo di riscatto sicuro. E quindi la Juve potrebbe farlo solo se prima vende Vlahovic. È un gioco di equilibri, ma le regole – stavolta – non le detta il giocatore. Sono sempre le società a guidare, almeno in questa fase. Anche su Vlahovic. Il serbo è fuori dal progetto, ma la Juve ha fissato paletti rigidi. Nessuna buonauscita, nessuna compartecipazione all’ingaggio, nessuno sconto. Chi vuole Vlahovic, deve acquistarlo a una cifra che copra almeno l’ammortamento. Un altro caso ancora più spinoso è quello di Timothy Weah, che ha espresso il desiderio di andare al Marsiglia. La Juventus lo ha messo sul mercato, ma ha chiuso la porta alle condizioni poste dai francesi. Da qui la durissima reazione del suo agente. Parole che certificano quanto la distanza sia ormai diventata politica, non solo economica.
Alle volte insomma questa politica paga (per le italiane) alle volte no. Pensate al caso Calhanoglu: quando sembrava che fosse diventato un caso di mercato, l’Inter aveva comunicato apertamente la cifra: 30 milioni. Niente sconti, niente formule creative. Poi tutto è rientrato, ma il concetto resta: si parte solo alle condizioni del club.
E se tutto questo vale per le big, attenzione anche alle piccole. Il Lecce, per esempio, è stato esplicito su Kristovic: “Parte solo alle nostre condizioni”. Lo dicono sempre, è vero. Ma oggi – a differenza di altri anni – sembra esserci più coerenza. E più forza per reggere la posizione.
È solo una fase del mercato? Una momentanea rigidità? Oppure qualcosa è davvero cambiato? Forse è solo negoziazione pura, che c’è sempre stata. Ma quest’anno almeno alcuni club sembrano più credibili nel tenerla. Forse perché hanno già venduto, forse perché si sono rafforzati, forse perché – più semplicemente – in qualche caso hanno il coltello dalla parte del manico.
