A tutto Pavoletti: "Rientro dopo la sosta. Futuro? A Cagliari anche dopo il ritiro"

L'attaccante del Cagliari Leonardo Pavoletti ospite sul palco allestito in Piazza Colombo a Costa Rei, ha parlato col giornalista Lele Casini della stagione che sta per cominciare: "Il ginocchio sta andando meglio, sto lavorando per farmi trovare pronto dopo la sosta ed essere nel gruppo. Speriamo, non voliamo troppo alto, lavoriamo con calma e vedremo come risponderà il ginocchio e il fisico".
Poi ha aggiunto: "L’entusiasmo è quello di sempre, la voglia di giocare e farsi trovare pronti è sempre tanta, poi chiaro che dipende dal fisico, dall’età, ma si può fare una mano alla squadra anche fuori dal campo e cerco di farlo ogni giorno con l’aiuto dei compagni, del mister e dello staff".
Sugli sport praticati in passato: "Ho iniziato col tennis, mio padre è maestro di tennis, ero bravino e per questo forse non ho molta tecnica coi piedi (ride e scherza, ndr). Andai a giocare a calcio, all’inizio ebbi un rifiuto, poi dopo un anno tornai ed è scoccato l’amore. Feci anche judo, da bambini eravamo tutti patiti di Tartarughe Ninja, di Van Damme, di Bruce Lee, c’è stata anche quella parentesi insomma, penso sia stata utile".
Sugli inizi di carriera: "Ho iniziato dal basso, dalla Cuoio Pelli, quindi non era certo una società professionistica ma dilettantistica. Iniziai e non ero il più bravo, il migliore, ho imparato da subito a dovere sudare, lottare, guadagnarmi lo spazio partendo dalla panchina, sono stato bravo a non mollare. Quando poi arrivi a ridosso della maggiore età conta la perseveranza, io sono partito anche dalla Serie D, per me era un qualcosa da provare e che molti magari vedevano di cattivo occhio. Ci vuole anche fortuna, io ebbi quella di trovare un tecnico che mi diede fiducia".
Sul primo gol: "Dopo dieci minuti, sul filo del fuorigioco, pensavo che ci fosse gioco fermo, il guardalinee con la bandiera abbassata e non credevo ai miei occhi. Ricordo il giorno dopo l’emozione a scuola, andavo alle superiori, mi fermò la Polizia mentre ero in motorino e il poliziotto mi disse che il cognome gli suonava familiare. Io rimasi sorpreso, gli dissi che forse era perché avevo segnato la domenica con l’Armando Picchi, invece no era perché conosceva mio padre (risata e applausi della folta platea di Costa Rei)".
Sull'importanza della famiglia: "La famiglia mi ha supportato in modo incredibile, anche bacchettandomi talvolta, ma conoscendo quello che potevo dare in campo e nella vita. A scuola? Sapevano che non avrei fatto molta strada, ma anche lì ho sempre lottato per ottenere il risultato. Le amicizie storiche sono quelle che contano di più, ho la fortuna e il privilegio di avere amici da quando ero bambino e si andava ogni giorno al mare. Un patrimonio dal valore inestimabile".
Sulle squadre in cui ha giocato: "Un aggettivo per ogni mia squadra? Viareggio è 'divertimento', ci divertivamo molto eravamo ancora molto giovani, si usciva spesso la sera, partimmo senza pressioni e poi ci giocammo il playoff per la Serie C; Pavia? Ebbi un momento non semplice, c’era poco feeling col mister di allora, non capiva certi miei atteggiamenti tipici di un giovane, feci abbastanza bene con 9 gol ma il feeling non fu splendido; Sassuolo = gratitudine; Juve Stabia non l’ho vissuta tanto, è stato breve e non ho assaporato quel calore meridionale che poi per sei mesi, sempre poco ma intenso, ho vissuto a Napoli anni dopo; Lanciano è la mia nascita; Varese è la mia consacrazione come attaccante che poteva fare qualcosa nel calcio; Genoa = grande amore, in poco tempo ho avuto un affetto enorme da parte della gente; Napoli è 'esperienza', un'esperienza umana bellissima ma non era calcisticamente il mio livello e quindi era giusto che non giocassi, mi sarei messo in panchina anche io".
Sull'arrivo a Cagliari: "Quando sono arrivato venivo dal Napoli, in uscita perché giocavo poco. Mi chiamò il direttore sportivo di allora Giovanni Rossi e rimasi colpito perché non pensavo che il Cagliari mi potesse cercare, c’erano delle richieste dall’estero e il mio procuratore mi chiese cosa preferissi fare, se la Spagna o il Cagliari. Non ebbi dubbi, spinsi per venire a Cagliari, sentivo che era una piazza calda e vogliosa, dove stare bene. Trovai una folla pazzesca all’aeroporto , incredibile, rimasi di sasso. Nacque una bella storia".
Sulla Nazionale: "Ho vissuto una bella esperienza, al tempo c’erano anche Barella e Cragno, con Nicolò la vissi con orgoglio e affetto, condividevamo la stanza, noi tre rappresentavamo il Cagliari, fu bellissima quella parentesi, lì abbracciai dopo il gol a Parma in azzurro, loro più di tutti sapevano quanto tenessi a quella esperienza. Era un gruppo super che poi vinse gli Europei, non mi stupì perché pur non essendo la squadra più forte aveva una unità enorme. Rammarico? Nessuno, c’era Immobile che era un attaccante di altissimo livello, non è stato coccolato abbastanza, quella era una Nazionale che giocava sul collettivo e non sul centravanti principe, ecco perché magari in azzurro ha reso meno di quanto fatto con la Lazio".
Sugli infortuni: "Ad agosto 2019 il primo crac, eravamo una squadra fortissima, il presidente aveva fatto acquisti splendidi, alla prima partita col Brescia in casa salto, vengo sbilanciato, cado su una gamba e il ginocchio fece crac. Provai a rimanere in campo ma non ci fu speranza, ci fu poi la ricaduta quando stavo rientrando, la pandemia, furono mesi tosti dove si faceva davvero fatica, la pandemia mi aiutò ad accorciare i tempi del rientro e saltare meno partite. Furono mesi di grandi incertezze economiche per il mondo, di confusione generale, rientrai e nel 2020-2021 riuscii ad aiutare a conquistare la salvezza. Poi arrivò Venezia…".
L'attaccante prosegue: "Passammo dalla gioia del 2021 con una super salvezza alla tragica retrocessione. Probabilmente tutti pensammo di salvarci facilmente dopo le sofferenze dell’anno prima, sbagliavamo. Il vero problema fummo noi, penso che avremmo potuto giocare per 30 giorni e non avremmo segnato mai, tirammo forse una volta in porta, andammo in B perché eravamo morti, bloccati.
Volevo rimanere dopo la retrocessione, dovevo risalire col gruppo, tutti volevano prendersi responsabilità dentro e fuori dal campo, io e Deiola, ma anche altri elementi ci siamo messi a fare capire che Cagliari era speciale, che certi valori e certi principi non andavano più tralasciati. È nato un gruppo e un Cagliari diverso, una squadra forte che può superare le difficoltà che nel calcio e nella vita ci stanno. Non è un caso che da allora le cose sono andate sempre meglio, superando ogni ostacolo.
La risalita? Ricordo la partita col Perugia in casa a fine 2022, vincevamo 3-2 davanti a pochi spettatori, venimmo criticati aspramente, un momento durissimo. E da lì poi siamo risaliti piano piano, il calcio è incredibile…
I playoff in B? La cosa curiosa è che ancora l’anno scorso, con i reduci di quella avventura, si parlava di quella cavalcata, con un misto di emozione e incredulità su come eravamo saliti tra mille peripezie. Bellissimo, la gara di Bari la conosciamo tutti, oggi parlando con Caprile, Esposito, Folorunsho ci raccontano di quella sera e tutti loro ci garantiscono che al tempo non c’era alcuna festa anticipata, nè pensavano di avere la promozione in tasca.
Ricordo la sera prima di Bari, in hotel, nessuno aveva dubbi sul fatto che avremmo vinto quella partita. Nessuno pensava che Ranieri avrebbe messo quella formazione, fu stupefacente, giocammo benissimo con alcuni ragazzi che sin li avevano giocato meno di altri, Di Pardo vicino al gol con parata di Caprile, un grande primo tempo. Poi la ripresa appannati e più difficile, l’incrocio clamoroso di Folorunsho, l’ho rivisto da poco e non pensavo fosse un tiro così forte. Ero arrabbiato, non entravo in campo, continuavo a scaldarmi, mister mi chiama a pochi minuti dalla fine. Non avrei mai pensato di segnare, e invece il resto è storia… Quanto mi ha cambiato quel gol? Non direi che mi abbia cambiato, quello è stato un momento magico, per un mese camminavo e la gente mi guardava in un modo mistico, come se avesse visto una divinità. Gente che fino a pochi giorni prima mi insultava, ricordo dopo la finale di andata venni insultato molto e qualcuno diceva portassi male, poi il calcio porta a cambiare tutto in un secondo. Va bene anche così, anche se a volte certi commenti fanno male. Il gol di Bari? Andai forte su quella palla, ero convinto, sapevo che arrivava lì la palla, col sinistro poi… anche se ero a un metro vabbè (ride). L’esultanza? Una abitudine, la spolverata mi viene spontanea, a Bari ero talmente nervoso e arrabbiato che forse il post gara non me lo sono goduto al 100%, è andata così e va benissimo. Non è un problema di panchina o titolarità, quella partita volevo giocarla, volevo tornare in Serie A e non entravo in campo, ma per fortuna poi è andata benissimo. Mister Ranieri sapeva che doveva andare così, l’aveva preparata così, 0-0 fini agli ultimi minuti e poi la zampata.
Il Bari era una squadra molto forte, con tanti bravi giocatori, e sono felice di averne alcuni ora con noi. Quando Esposito ha preso il 94 non ci credevo, poi ho saputo il perché ed è una cosa nobile, il centro sportivo che coi fratelli hanno creato a Castellammare di Stabia, il Ciceron.
Andare via da Cagliari? Ormai mia moglie Elisa non la sposto più, siamo insieme da 18 anni, qui siamo diventati genitori, ci siamo sposati, abbiamo amicizie costruite in questi 9 anni, i bambini stanno facendo le prime amicizie che si porteranno dietro per sempre. E ora Costa Rei anche, molto bello.
Il 30 come numero che ritorna? Sì, molte coincidenze. C’è pure la linea dell’autobus numero 30 che spesso porta la mia foto e mi fa sempre molto ridere. I miei figli tifano Cagliari ovviamente, vogliono già la maglia nuova, poi certo gli piacciono i calciatori fortissimi di molte squadre internazionali, a volte vedono che c’è qualche calciatore più bravo del papà (ride)
Le vacanze in Sardegna? Ci piace molto rimanere nell’Isola, goderci questa terra magica, anche fuori stagione, ormai ci capita spesso di fare anche tutto giugno in Sardegna. Costa Rei è nel cuore, amiamo molto l’Ogliastra e il nord di una terra meravigliosa, ma frequentiamo tanto anche Chia e Santa Margherita che insieme a Costa Rei ci fa sentire particolarmente a casa.
Mou il maialino vietnamita? Lo portò in casa una ex fidanzata di mio fratello, doveva rimanere piccolino e invece crebbe tantissimo, ci mangiò tutto in giardino, fu una sorta di mascotte per me per circa 12 anni. Un bel ricordo che non mi veniva menzionato da tempo.
I social? Penso che siano da gestire con attenzione, ogni esagerazione è sbagliata, i ragazzi devono farci attenzione, ma sicuramente penso che un po’ sia giusto rendere partecipi della propria vita quando si è un personaggio noto.
Domande del pubblico da parte dei bambini e non solo:
Il gol più bello? Sicuramente quello di Bari e la rovesciata al Sassuolo, due reti importantissime e anche belle, perché no che non guasta.
Le emozioni di Bari? Enormi, belle e brutte, ma soprattutto la nostra gente felice allo stadio e il tripudio poi a Cagliari, lì abbiamo capito cosa avevamo combinato. Una magia.
Altre squadre del cuore oltre al Cagliari? Nessuna, ci mancherebbe.
La sfida al Pisa? Si vedrà, non ci penso troppo, mi ci avvicinerò piano piano, ora penso a tornare disponibile e in salute per aiutare il gruppo.
Perché il numero 30? Quando arrivai a Cagliari c’erano molti numeri riservati a calciatori in attività o che avevano smesso da poco, oltre all’11 del grande Gigi Riva. Rimasero pochi numeri, presi il 30 e mi ha portato bene.
Come nasce l’esultanza della spolverata? Un allenatore che ebbi a inizio carriera ma anche molti addetti ai lavori dicevano che non sarei mai arrivato in Serie A, inizia a esultare così quando segnavo come a fare ricredere gli scettici. Me la sono portata dietro con fortuna, va bene così.
La colazione preferita al bar? Pizzetta sfoglia, acqua gasata, caffè.
Quando mi accostano a Gigi Riva? Un onore enorme, un qualcosa di incredibile a Cagliari, non posso minimamente accostarmi a Gigi Riva, forse qualche gol importante, ma posso solo dire che pur non avendolo conosciuto i suoi valori sono un riferimento per me. Mi fa piacere se la gente vede in me quegli stessi valori di rispetto, educazione, attaccamento alla maglia rossoblù.
Il calciatore fuori dal campo? Penso sia giusto ricambiare anche ciò che si riceve in città, allo stadio, ciò che ho avuto da quando sono arrivato. Per questo l’impegno sociale, affiancare chi ha bisogno, aiutare i meno fortunati, per me è bellissimo, fondamentale, ho voluto provare a dare un contributo e continuerò a farlo per quanto possibile da parte mia. Non voglio fare perbenismo, ma chi lavora nel sociale è giusto che abbia sostegno e applausi veri perché aiuta tantissime persone.
Il mio futuro? Mi piacerebbe rimanere nel Club per contribuire a costruire qualcosa, per portare ai giovani e in generale ai calciatori la mia esperienza che ho vissuto negli anni da calciatore, non solo a Cagliari. Far capire cosa è Cagliari, penso sia importante quando si arriva in una piazza capire dove si arriva, perché ogni contesto è diverso dall’altro e ha le sue prerogative. Mi piacerebbe insomma avere questo ruolo di tramite, di esempio per chi arriva, di link tra i valori del Club, della Sardegna, e coloro che arriveranno da noi. Ma ci penserò quando smetterò, ora sono ancora un calciatore e capirò a tempo debito cosa potrò e cosa vorrò fare, che contributo potrò dare a questa Società qualora dovessi essere chiamato in causa ovviamente.
Un calciatore amico? Chiellini, un fenomeno, un grande difensore cui non sono mai riuscito a fare gol, siamo diventati amici e mi fa davvero piacere potermi fregiare di questo rapporto con un grande uomo e calciatore qual è Giorgio.
Un numero di maglia che mi sarebbe piaciuto avere? Il numero 8, mi piace molto, l’ho avuto al Sassuolo e basta, non c’entra niente col centravanti ma la sognavo da bambino e ho avuto modo di averla a Sassuolo coronando un piccolo sogno.
