Klopp: "Roma magnifica città, ma non mi vedo più in tuta a bordo campo"

"You'll never walk alone" è stato il filo conduttore della sua carriera da allenatore, ma a Wiesbaden, in occasione della consegna del Fair Play-Preis dello sport tedesco, Jürgen Klopp ha scelto la discrezione: è entrato in silenzio dalla porta sul retro del Castello di Biebrich e altrettanto silenziosamente se n’è andato, senza nemmeno passare dal buffet.
Nel mezzo, due ore e mezza di sorrisi, ironia e riflessioni. Klopp, 57 anni, ha saputo conquistare tutti con il suo carisma: elegante in abito chiaro e camicia scura, fisico asciutto e lo stesso entusiasmo contagioso che ha sempre portato in panchina. “Volete davvero darmi questo premio?”, ha chiesto, con la consueta modestia, quando il riconoscimento speciale del DOSB e dell’associazione dei giornalisti sportivi tedeschi (VDS) gli è stato proposto. Per lui, allenare con passione e correttezza è sempre stato naturale.
Eppure, come ha sottolineato il presidente della giuria Manfred Lämmer, Klopp ha lasciato un’impronta in un calcio che spesso perde i suoi valori sotto il peso del business. Sempre leale, sempre rispettoso, anche quando l’emozione prendeva il sopravvento: occhiali rotti nei festeggiamenti, strappi muscolari, polemiche con arbitri e 50.000 euro di multe in Bundesliga. Ma anche la capacità di fare un passo indietro, di riconoscere l’errore. Una qualità rara.
Il momento più significativo della sua parabola recente? L’addio al Liverpool, annunciato con sincerità a gennaio 2024: “Vi devo almeno la verità”, disse ai tifosi. Nove anni di amore e risultati, chiusi con stile, preparando il terreno al suo successore Arne Slot e, con lui, al titolo di Premier League arrivato l’anno successivo.
Durante la cerimonia, Klopp ha riflettuto anche sui cambiamenti nel calcio e nella società. Ha ricordato i tempi in cui, da allenatore del Mainz, analizzava le partite riavvolgendo videocassette. Ora, dice, l’intelligenza artificiale semplifica tutto, ma “alla fine conta l’essere umano. Chi fa le domande giuste, trova le risposte giuste.” E ha criticato la corsa al successo precoce: “A 23 anni io servivo birre in un pub.”
Nonostante la fama, Klopp continua a definirsi “the normal one”: “Sono arrivato come una persona normale, lo sono ancora. Anche se non vivo una vita normale.” Ora si ritira parzialmente, costruisce una casa nei dintorni di Wiesbaden, con una stanza per i trofei e una per i vestiti della moglie: “Scambiamole, tanto non vincerò più nulla.”
Nel futuro prossimo, niente panchina. “Non mi vedo più in tuta a bordo campo. Ho avuto tre club fantastici, e non ce ne saranno molti altri.” Dopo sei mesi di pausa, è tornato come “Global Head of Soccer” per Red Bull, supervisionando i club del gruppo in tutto il mondo. “Lavoro tanto, ma almeno non gioco ogni tre giorni.”
Sulla voce che lo vorrebbe alla Roma, glissa con un sorriso: “Roma è una città meravigliosa. Ma non ho altro da dire.” Quello che resta, più dei trofei, è lo stile con cui Klopp ha attraversato il calcio europeo: con passione, integrità e umanità. E per questo, oggi, è stato giustamente celebrato.
