30 anni fa lo Scudetto della Samp, Pellegrini: "Fu una crescita costante"

19 maggio 1991, 19 maggio 2021. 30 fa la Sampdoria scrisse una delle più belle pagine della sua storia e del calcio italiano. Superando 3-0 il Lecce al "Ferraris", la squadra di Vujadin Boskov - costruita magistralmente da Paolo Mantovani e Paolo Borea - conquistò lo scudetto. Un percorso importante, una crescita costante che è sfociato con la vittoria del titolo in quel caldo pomeriggio di primavera. Per farci raccontare le emozioni di quel giorno, e non solo, abbiamo contattato il capitano di quel gruppo che ancora adesso viene ricordato a Genova, Luca Pellegrini.
Pellegrini, la prima cosa che le viene in mente pensando a quel 19 maggio 1991.
"Viene in mente che avevamo tutti nella testa il 1986 quando il Lecce già retrocesso aveva fatto lo sgambetto alla Roma e quindi c'era stata una settimana molto focalizzata su quanto fosse importante l'approccio alla gara. Essere aggressivi per indirizzare la partita a nostro favore. E così fu fatto perchè nel giro di mezz’ora la partita aveva preso la giusta piega per noi".
Il gruppo raggiunse la giusta maturità.
"Era la conferma che il gruppo aveva raggiunto una maturità e un percorso di crescita iniziato dalla prima vittoria in Coppa Italia nel 1985 fino al 1991. Un percorso di crescita nel quale la squadra aveva fatto tesoro delle esperienze negative. Non perdi a Berna una finale di Coppa delle Coppe e la vinci l’anno dopo a Goteborg oppure in quel caso noi aveva perso a gennaio contro Torino e Lecce e poi comunque hai vinto il campionato. Prima della partita contro il Torino eravamo primi in classifica prima di Torino, poi ci sono state le due sconfitte, noi ci siamo ricomposti e ricompattati e abbiamo fatto un filotto che ci hanno portano allo scudetto".
Dopo la sconfitta col Lecce ci fu un girone di ritorno senza sconfitte.
"E' stato un crescendo. Un percorso di crescita in primis umano, eravamo ragazzi e siamo diventati uomini, e poi da professionisti. Di questo va dato merito al presidente e società ma anche ad un allenatore che è arrivato nel momento in cui noi eravamo più, fra virgoletti, spugne e recepivamo più velocemente i dettami e facevamo più tesoro delle esperienze negative".
Quanto sono state importanti per voi, non solo in quell'anno particolare, le figure di Paolo Mantovani e Vujadin Boskov?
"Potevano essere considerati un po’ il papà e lo zio. Persone che potevano darti dei consigli. Soprattutto il presidente che era di poche parole, non invadente, non metteva mai pressione però aveva poche parole ma buone, di qualità. Poche parole ma quelle giuste che sapevano toccare le corde giuste e dall'altra parte c'erano dei ragazzi che stavano maturando e crescendo. Un conto è la continuità di zio Boskov ma il lavoro più certosino, capillare del presidente era importante. Si vedeva poche volte ma aveva la sensibilità di dirti cose belle e cose meno belle nel modo giusto e devo dire che sono stati interventi fatti ad hoc, con quattro o cinque parole ma erano sufficienti".
Quale è stata la partita della svolta nella corsa alla vittoria finale?
"Io avuto tante vicissitudini dal punto di vista fisico quell’anno ma posso dire la gara di andata contro l’Inter perchè in quell’occasione eravamo in inferiorità numerica e vincemmo 3-1".
Ci fu anche un retroscena tattico in quella partita.
"Sì. Accadde che quando ci fu il rosso a Mychajlycenko, a un certo punto ci siamo guardati io e Vierchowod e ci siamo detti di giocare a uomo io e lui. Il problema è che non andava bene al mister (sorride ndr) che per dieci minuti urlava perchè voleva abbassare Pari per fare il marcatore e avere un difensore in più. Così però andavi in inferiorità numerica a centrocampo dove c'erano elementi come Matthaus e Berti che, se lasciati liberi, potevano essere pericolosi. Eravamo giocatori che in campo aperto ci esaltavamo per quelle che erano le nostre qualità di velocità e di uno contro uno. Inoltre eravamo forti anche di testa e non avevamo né problemi né paure".
Invece quando è stato il giorno in cui avete avuto la consapevolezza di poter vincere lo scudetto?
"La gara di ritorno contro l'Inter. Non avevamo la matematica vittoria ma a quattro giornate dalla fine avevamo sconfitto l'Inter, che è stata l‘ultima a tenere botta. Da quel momento era solo il saper gestire. Andare a Torino e non perdere, cercare di gestire il vantaggio per poi essere convinti che la gara casalinga con il Lecce venisse portata a casa. E’ stato veramente il coronamento di un pezzo di vita, di una bella favola. E’ andata così penso che siano poche le squadre, senza essere denigrativo, a livello provinciale che hanno fatto percorsi così completi. Una squadra che arriva dalla B e vedi che - prima con Ulivieri poi con Bersellini e infine con Boskov - anno dopo anno cresce, ovviamente inserendo di volta in volta i giocatori nuovi e funzionali".
Cinque anni fa la festa sotto un Sud gremita, quest'anno purtroppo, per il periodo che stiamo vivendo, non ci potrà essere l'abbraccio con la gente blucerchiata.
"E' un peccato ma ci rifaremo. Purtroppo è un momento così".
