A tutto Zlatan Ibrahimovic: il passato, il presente, il futuro, ma anche Raiola, Mou e il ritiro

Zlatan Ibrahimovic, ex attaccante del Milan, ha rilasciato una lunghissima intervista a Piers Morgan Uncensored, nella quale ha trattato tanti argomenti a partire dal suo ritiro. Queste le sue principali dichiarazioni riportate da Milannews.it: "Mi sono ritirato tre mesi fa. L’ho accettato, alla fine non mi sentivo bene. Potevo anche continuare, soffrendo fisicamente, ma volevo sentirmi bene e non volevo avere conseguenze al termine della mia carriera, arrivando a non poter fare cose con i miei figli per esempio. Quindi ho scelto di fermarmi, e penso di averlo fatto nel momento giusto. Ma se devo essere onesto quando vedo gli altri attaccanti molto avanti con l’età che ancora giocano penso di poter giocare ancora, farei molto di più di quello che fanno loro. E non è una questione di ego, sono fatti. Nomi? Potrei dartene tanti, probabilmente il 95% degli altri attaccanti”.
Pensa di essere più forte del 95% degli attaccanti?
“Non lo penso, lo sono (ride, ndr)”.
Come la fa sentire il non avere più a che fare con le folle di tifosi negli stadi?
“Penso che non ne ho bisogno. Ho giocato per 25 anni di fronte a 90mila persone. Le ho fatte saltare, esultare, fischiare, odiare, amare… Non sono così egocentrico da avere l’esigenza di avere questo tipo di attenzioni ora. Sono chi sono, sono ricordato per quello che ho fatto in campo, non cerco attenzioni e cose del genere. Altrimenti avrei scelto di fare il commentatore, l’opinionista, tutte queste cose che fanno gli ex calciatori. Lo fanno perché hanno ancora bisogno di questo tipo di attenzioni, ma li capisco. Quando sei in campo ti senti vivo, senti l’adrenalina, l’erba, i duelli, il calore, l’atmosfera. Poi dipende anche dal tipo di giocatore che sei: quando sono in campo io sono molto emotivo, cambio da una cosa all’altra. Ora è differente, vivo una vita normale”.
Cosa vuole fare ora?
“Faccio molte più cose ora di quando ero in attività. Faccio collaborazioni, sono coinvolto in diversi progetti. Sono curioso per quanto riguarda fare l’attore. Ho passato una vita davanti alle telecamere, non sono timido. Ma non so se sono un bravo attore, non penso”.
Che ricordo ha di Mino Raiola?
"La sua morte è stata una grande perdita, lo è tuttora, mi manca molto, oggi e per sempre. Non era solo un agente per me, era tutto. La mia carriera è iniziata il primo giorno che l’ho incontrato. Facevamo tutto insieme, condividevo tutto con lui: bei momenti, momenti brutti. Era presente anche nella mia vita privata, gli presentavo una ragazza e gli chiedevo se potesse andar bene o no. Era coinvolto in tutto quello che facevo, davvero tutto. Quando è scomparso per me il calcio è cambiato, non è più stato la stessa cosa. Mi ha visto crescere da ragazzino a uomo, sono diventato chi sono anche grazie a lui. Ma ci davamo sempre battaglia, litigavamo anche in modo duro. Ci dicevamo anche cose pesanti. Del tipo: “Vaffanculo, non lavori più per me”. E lui mi rispondeva: “Per licenziarmi prima devi assumermi”. Mi rispondeva sempre a tono. Odio e amore. Ma anche “l’odio” era amore. Se vuoi bene davvero a qualcuno gli dici tutto in modo diretto senza che questo possa cambiare il rapporto. E dopo che se n’è andato è diventato più difficile, perché ora faccio le mie cose da solo. Prima quando dovevo fare qualsiasi cosa lo chiamavo per chiedergli un parere. Amava le sfide, era un agente che lavorava per i giocatori e non per i club. Il suo obiettivo era quello di cambiare la vita ai calciatori, di salvarli".
Quanto è stato importante Mourinho per la sua carriera?
"Non ho mai visto arroganza in lui, ma coerenza e fiducia in quello che diceva. Perché quello che ha detto, lo ha fatto. L’ho conosciuto all’Inter. Io arrivavo dall’esperienza di Capello, che era un allenatore con una mentalità molto forte. Lui mi buttava giù tutti i giorni per poi portarmi al top. È stato quello che ha forgiato la mia mentalità, quella di non essere mai soddisfatto al massimo. Mi ha detto che facevo pochi gol e che aveva bisogno che io segnassi di più e mi sono allenato tantissimo a tirare in porta, oltre ad allenarmi forte con gente come Cannavaro e Vieira. Lui urlava sempre “Ibra, Ibra” che poi è la genesi del mio soprannome. Io andavo in campo e mi allenavo un’ora in più per migliorare. Quando ho incontrato Mourinho, in allenamento facevamo cose nuove tutti i giorni. Lui divideva il campo in quattro zone e ogni esercizio era qualcosa di nuovo. Poi quando parlava alla squadra, ci diceva che non avremmo avuto una seconda chance. Ti porta a combattere per lui e tu fai qualsiasi cosa per vincere. Lui ti motiva ad un livello altissimo. E come uomo, è diretto. È un vincente e dice quello che pensa, ma è molto informato. Sapeva più cose di me quando parlava con me”.
