Djimsiti: "L'Atalanta non è più lo stesso club di quando arrivai. Ma l'identità resta quella"

Berat Djimsiti, difensore dell'Atalanta, ha rilasciato un'intervista al canale della Lega Serie A per il format MadeinItaly, parlando così: "Il calcio è una delle cose più importanti della mia vita, così com'è la famiglia che ho creato e credo che non sia una cosa da poco perché la famiglia è qualcosa di molto importante per me, è l'essenza della società. E questo mi ha fatto piangere, mi ha fatto gioire e sentire felice in ogni senso del mio percorso. Tutto questo è successo insieme, ma credetemi, tutto è possibile nella vita perché, quando io ho iniziato, di certo non pensavo che sarei arrivato a questo livello".
Come si è ambientato nel calcio italiano?
"L'impatto iniziale è stato sicuramente molto difficile perché, a dire la verità, non avevo seguito molto il calcio italiano prima. Guardavo più spesso il calcio tedesco perché è più vicino alla Svizzera e anche in famiglia si guardavano più partite del campionato tedesco. Però quando è arrivata la chiamata dell'Atalanta ho iniziato a informarmi, ho guardato le partite in tv e ho seguito i giocatori dell'Atalanta".
Perché ha scelto proprio l'Italia?
"Ciò che mi ha spinto a scegliere l'Italia invece che la Svizzera è sicuramente il calcio. Il vostro Paese ha sempre avuto una grande tradizione calcistica molto più avanzata rispetto alla Svizzera, sia come sistema, che come livello di sviluppo. È stata una scelta fatta per la mia carriera per costruire qualcosa di importante e avere successo in futuro. E credo che sia stata una decisione fondamentale per me".
Cosa ne pensa della gente di Bergamo?
"Sicuramente mi sento anche bergamasco perché la mentalità, in qualche modo, è molto simile a quella delle persone che ho conosciuto. Credo che la maggior parte di loro siano persone molto laboriose, molto giuste e che fanno tanti sacrifici. Penso che questo si adatti molto a me come persona e mi sento quasi come se fosse la mia seconda casa".
In campo e fuori è sempre la stessa persona?
"Credo che ci sono delle differenze, anzi ce ne sono tante. In campo devi avere e dimostrare anche una certa leadership, ovviamente con anche un po' di aggressività, specialmente nel mio ruolo di difensore. Ma non è che nella vita di tutti i giorni io sia così, a casa sono una persona semplice. Mi piace stare con la mia famiglia, passare del tempo con i miei figli".
Che ricordi ha dei suoi inizi all'Atalanta?
"È stato tutto nuovo. Ho parlato con Sartori, che era il direttore a quell'epoca, il quale mi disse che aveva deciso di inserirmi nella squadra. Mi parlò anche di tutti i valori che un giocatore doveva avere per giocare in questo club. Ma non posso dimenticare che in quel periodo mi disse anche: 'Noi siamo una società che fa crescere i giovani e poi li vende a squadre più grandi'. Con il tempo, la situazione è cambiata, l'Atalanta ormai è tra le top negli ultimi anni. Quindi non è più esattamente lo stesso club, ma credo che continui a valorizzare moltissimo i giovani e l'identità resta quella. Il motto dice che bisogna sempre sudare. E nello spogliatoio c'è un logo nel quale c'è scritto che bisogna mettercela tutta e che, indipendentemente dal risultato, il giocatore deve arrivare a dire che in campo ha dato tutto e ci ha messo l'anima".
Qual è la cosa più bella che ha fatto con l'Atalanta?
"Il sogno più bello che ho vissuto qui è aver vinto l'Europa League, che è la ciliegina sulla torta ed è la cosa più importante che ho raggiunto nella mia carriera. Devono ricordarsi di quel ragazzo semplice e lavoratore che ha sempre dato tutto per questa maglia e per questa città. E spero che abbiano solo cose belle da dire su di me come io le dirò sempre sui bergamaschi, non solo nel momento in cui mi ritirerò o se mai dovessi andar via da qui. Spero soltanto di aver lasciato un bel ricordo in questi anni".
